Aldo, prigioniero-lavoratore degli Usa da 72 anni aspetta di essere pagato
TURRIACO Dovessi campare cent’anni voglio i soldi che mi spettano, protesta Aldo Tonca. Questione di pochi anni, quattro per l’esattezza, visto che il nostro ne ha 96. Scorza dura di agricoltore e carradore dell’Isonzo, una vita all’aria aperta e un cuore a stelle e strisce. Siamo a Turriaco dove la casa di Aldo la conoscono tutti per quella bandiera Usa che sventola nel cortile dal 1946. Non è sempre la stessa, ci mancherebbe altro: «Ogni anno la cambio», precisa Aldo.
Tonca è tra gli ex prigionieri lavoratori degli Usa durante la Seconda guerra mondiale. A loro favore gli Stati Uniti, alla fine del conflitto, avevano versato nelle casse dello Stato italiano la bellezza di 26 milioni di dollari quale rimborso per quanto fatto nei campi di lavoro americani. Ma di quei soldi non c’è traccia e di tanto in tanto si riaccende la caccia e la richiesta, dei pochi reduci rimasti in vita, di avere quanto spetta loro. Uno di essi, l’unico sopravvissuto della provincia di Gorizia e forse dell’intera regione è, appunto, Aldo. Non un prigioniero qualsiasi, però.
Nel giugno del 1942 Aldo Tonca ha vent’anni ed è un artigliere dell’esercito italiano. Assieme ad altri 61 commilitoni è spedito a contrastare il nemico – amercani, inglesi e francesi – a Capo Bon, sulla punta della penisola Nordorientale dell’attuale Tunisia.
Gli artiglieri italiani, male in arnese, fanno appena il solletico al fronte avversario che risponde sparando un mare di piombo. Alla fine i nostri soldati devono arrendersi e per loro comincia un lungo calvario che li porterà nei campi di prigionia allestiti negli Stati Uniti.
I primi mesi da prigioniero sono tremendi. «Eravamo sporchi e pieni di pidocchi – ricorda Aldo –. Abbiamo trascorso due mesi in condizioni disumane. Eravamo centinaia, non si poteva resistere. Finché un giorno arrivò al campo una delegazione dell’esercito statunitense e prelevò 65 prigionieri, tra i quali il sottoscritto».
La conversazione con Aldo non procede spedita, il suo udito è quello che è, gli anni hanno lasciato il segno ma i suoi occhi sono quelli di un ragazzino sveglio e vivace. Nel tinello della casa di Aldo è tutto un urlare per farsi capire ma ne vale la pena. «Quel giorno cambiò la mia vita – ricorda Aldo –. Fummo portati in un campo di lavoro di Casablanca. Ci fecero lavare, ci disinfettarono e ci diedero vestiti nuovi. Quelli vecchi li bruciarono». Aldo ha la patente per condurre le moto e a Casablanca consegue anche quella per i mezzi a quattro ruote. Gli affidano un incarico niente male: «Dalle 21 alle quattro del mattino dovevo portare le signorine dalla città alla discoteca del campo, a disposizione dei militari. Sono stato benissimo con gli americani». Sorride Aldo al ricordo, ma glissa sui particolari del suo incarico. La prigionia dorata di Tonca finisce il 5 febbraio 1946 quando scende dalla nave che ha trasportato gli ex prigionieri italiani da Casablanca a Napoli. Qualche giorno dopo arriva a Turriaco, dopo un viaggio in treno di due giorni. Porta con sé un bel gruzzoletto perché il suo lavoro era pagato tre dollari al giorno: uno cash, gli altri due trattenuti dagli Usa e poi girati all’Italia. —
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