«Al Pronto soccorso di Monfalcone costretti a lavorare tra insulti e minacce»

Lo sfogo del direttore del Dipartimento di emergenza unico, Alfredo Barillari: «Perso il rispetto per la nostra opera»
Bonaventura Monfalcone-05.01.2016 Sopralluogo in ospedale-Sindaco Cisint-Monfalcone-foto di Katia Bonaventura
Bonaventura Monfalcone-05.01.2016 Sopralluogo in ospedale-Sindaco Cisint-Monfalcone-foto di Katia Bonaventura

MONFALCONE In prima linea 365 giorni senza soluzione di continuità. Anche quando si tratta di fronteggiare accessi “impropri” , situazioni che hanno a che fare con questioni di carattere socio-assistenziale piuttosto che strettamente sanitario. Il tutto incalzati dalle attese degli utenti. Un pressing che ormai sempre più spesso ha i toni dell’esasperazione. In Pronto soccorso, al San Polo, il tempo è relativo. Si sa quando si entra in sala d’aspetto, ma non si sa quando si esce, soprattutto quando al triage il paziente viene “classificato” in codice verde o bianco, a bassa priorità se non “differibile”, che costituiscono i volumi di afflusso più alti in assoluto.

Il direttore del Dipartimento di emergenza unico, di Monfalcone e Gorizia, dottor Alfredo Barillari, lo dice senza giri di parole: «Si è perso il rispetto per i ruoli, la professionalità ed il lavoro che pure viene svolto con impegno e passione». Fornisce un’immagine da “trincea” quando osserva: «Siamo quotidianamente insultati dagli utenti. I pazienti si sentono autorizzati ad ogni genere di aggressione verbale, tanto che non è infrequente la richiesta di intervento delle forze dell’ordine. Succede spesso che gli utenti in attesa della visita esprimano richieste inesaudibili».

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Il primario fornisce qualche esempio per dare la misura di cosa accade anche nel Pronto soccorso. «Riceviamo pesanti critiche motivate da “io pago le tasse”, oppure la sottolineatura che noi stiamo qui a far nulla. Si arriva anche a veri e propri insulti. Tutto ciò finisce per generare tra medici e infermieri una profonda insoddisfazione». Parla dello «stress nel farsi insultare dagli utenti. Il tourn over elevato del personale è significativo circa questo disagio. A distanza di tempo – continua – gli operatori sanitari chiedono il trasferimento dal servizio». È capitato, racconta il direttore del Dipartimento, che durante il turno di un medico in Pronto soccorso, i carabinieri avessero ricevuto una serie di telefonate da parte degli utenti in attesa che comunicavano di voler sporgere denuncia. Che una paziente in sala d’aspetto avesse chiamato il 118 sostenendo che in quel modo sarebbe stata visitata prima. E che una donna, evidentemente stanca, avesse suonato il campanello del Pronto soccorso quindici volte. «Le è stato aperto – spiega Barillari –, la donna è stata accompagnata dall’infermiera a visitare l’interno, i box occupati e i pazienti distesi sulle barelle in attesa del loro turno. La signora è impallidita. Una volta uscita, ad un certo punto ha suonato di nuovo, per chiedere scusa».

Dietro la porta non può esserci contezza dell’attività che corre: «Non si tiene conto degli arrivi in ambulanza, dei pazienti tenuti in osservazione, di coloro che sono in attesa dell’esito di un esame, oppure alle prese con le indicazioni in ordine alla terapia che devono seguire, oltre ai semplici controlli della visita in sè». Il primario considera un altro aspetto: «Anche la compilazione delle diagnosi richiede la dovuta attenzione. È una precisa responsabilità al fine di ottemperare ai criteri di legge, noi dobbiamo essere prudenti, periti e diligenti».

È in sostanza la «difficoltà di trasmettere all’utente che l’area di emergenza rappresenta un filtro complesso e delicato. Da un lato gli accessi strutturati per priorità sanitarie, perché è evidente che non vale il biglietto salva-code. Dall’altro per ogni paziente viene strutturato un percorso legato poi al funzionamento della struttura ospedaliera. Un trattamento o una risposta si può peraltro ottenere anche dopo ore o dopo giorni».

Il medico offre un racconto senza filtro, spiega cosa accade dietro quella porta, quasi a invitare a gettarne lo sguardo, per accorgersi almeno di un altro punto di vista, quello di chi lavora dietro le quinte. Le lunghe attese. «Stiamo lavorando per migliorare la situazione - spiega Barillari - C’è da dire, tuttavia, che in tutto il mondo occidentale gli accessi al Pronto soccorso sono in aumento e non si è trovata ancora una soluzione soddisfacente. Rappresentiamo l’unica porta diretta alla sanità e l’utente che non sa dove andare viene qui, dove ha comunque una risposta».

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