Aghanistan, il generale Risi: "Chiudiamo una missione di 12 anni"
Annotazioni "di bordo", sensazioni, analisi e impressioni colte o sviluppate nella serrata trafila d'impegni giornalieri, tra la consapevolezza della responsabilità del comando e l'onore che ne deriva, tra la fatica di portare avanti una missione complessa e la soddisfazione di lavorare per ciò a cui ci si è preparati per mesi, anni, forse per una vita in uniforme.
Una vita intensa ma ancora non troppo lunga. Il giovane generale triestino Michele Risi comanda la Brigata alpina Julia di Udine, da poche settimane tornata in Afghanistan per un nuovo turno di missione. L'ultimo delle Forze armate italiane dopo più di 10 anni di presenza nel martoriato Paese asiatico. Ha accettato di inviarci, senza scadenze temporali precise, una sorta di "diario da Herat".
Che inizia così.
Herat ore 24-00 , la bandiera della Brigata Garibaldi si è appena ammainata, il vessillo della "Julia", sta salendo lentamente a significare molto più che un semplice passaggio di consegne, per l’ultima volta una brigata, la mia “Julia”, assume il comando in questa terra lontana .
I ricordi vanno a quel lontano 11 settembre, le due torri implodono su loro stesse, neppure un anno trascorre da quando caduto il governo talebano sotto i colpi dell’Alleanza del Nord questa missione ha inizio.
I ricordi vanno a quei 54 Caduti italiani, tra cui molti alpini, e a quelli di tutte le forze della Coalizione che in questo sfortunato Paese hanno versato il loro sangue per un ideale, la libertà, che non ha confini di razza, religione o colore della pelle .
Con il loro sacrificio ci indicano la via per fare in modo che la faticosa strada intrapresa dall’Afghanistan verso la democrazia non sia solo un insieme di parole ma un fatto certo, tangibile, concreto.
Idealmente li vedo tutti, insieme, che guardano il nostro vessillo salire, ancora una volta, attorno le stesse facce, "veci" e "bocia" insieme, ancora una volta. L’aquila ci guarda dall’alto ci protegge con i suoi artigli, iniziamo una nuova avventura in questa martoriata landa desertica.
Oggi la nostra missione ad Herat è diversa da quella del 2005, quando i compiti principali richiedevano una unità per svolgere soprattutto attività di cooperazione e sicurezza. Ma è anche diversa da quella del 2011 quando durante la massima espansione della Coalizione le forze afgane pesantemente supportate dalle nostre unità hanno inferto duri colpi agli insorti rendendo possibile un miracolo. Mi riferisco alla crescita demografica, a nuove scuole e ospedali ma, soprattutto, alla realizzazione d'infrastrutture che lasceremo qui in Afghanistan. Un esempio è l’aeroporto di Herat, che potrà quanto prima divenire un hub internazionale.
Il primo atto, a parte la cerimonia di cambio di comando, è stato l’incontro con il Capo di stato maggiore del 207.o Corpo di armata, di etnia hasara, un intelligentissimo e competente soldato che mi ha parlato della sua carriera: “I primi 10 anni ho combattuto i russi per liberare l’Afghanistan con i mujahidin, i secondi ho combattuto gli insorti per liberare l’Afghanistan da un nemico che non crede in un governo democraticamente eletto quale quello guidato oggi dal presidente Ghani ed Abdullah e gli altri 10 anni che rimangono combattendo una nuova insorgenza: l’Isis o come lo chiamano qui Daesh”.
Siamo pronti a continuare a sostenere il 207.o Corpo d’armata, che oggi appare essere il meglio alimentato, il più equipaggiato e il più addestrato dei sei corpi esistenti alla vigilia della stagione dei combattimenti.
Con grande orgoglio loro vogliono il nostro supporto per pianificare le operazioni e il loro comando sa che i suoi soldati sono combattenti straordinari nelle operazioni condotte sul terreno ma stanno ancora crescendo nelle complesse che integrino l’Arma di fanteria, genio, artiglieria, logistica e intelligence.
Sarà questo il nostro compito, è un segno di grande stima nei nostri confronti ma anche, lo sento, una grande responsabilità, è l’inizio si và!
"Julia nomine tanto firmissima".
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