Agenti uccisi a Trieste, la madre di Meran: «Costretta a lasciare la città per le minacce. Vivo nel dramma provocato da mio figlio»
TRIESTE «Io e la mia famiglia abbiamo ricevuto minacce. Il campanello suonava di continuo anche perché tutti ormai sapevano dove abitavamo. Quindi ho dovuto andarmene da Trieste. Perché quello che è successo ha sconvolto le nostre vite. Vivo continuamente nel dramma di ciò che ha fatto mio figlio. Un figlio malato».
Dietro alla tragedia di Matteo Demenego e Pierluigi Rotta, i due giovani poliziotti uccisi in Questura il 4 ottobre dell’anno scorso, c’è anche un altro dolore. Quello della madre di Alejandro Augusto Meran, l’assassino. La donna, di origini dominicane, ricorda con precisione le ore che hanno preceduto la sparatoria. «Mio figlio pensava di essere perseguitato, diceva di vedere navicelle, sentiva voci. Voleva scappare».
È trascorso un anno. Signora, come ha vissuto questi mesi?
Quanto è accaduto sta segnando profondamente la mia vita e quella della famiglia. Penso sempre alle famiglie dei due poliziotti, provo dolore. E penso che poteva essere una strage. Chiedo perdono ai genitori per quello che è successo... hanno perso due figli che avevano quasi l’età del mio. Chiedo a Dio che possano trovare pace.
Ha avuto la possibilità di parlare con i familiari dei due agenti?
No, anche perché ho dovuto cambiare città. La mia famiglia ha ricevuto minacce, ormai si sapeva dove abitavamo. Il campanello suonava di continuo, venivano i giornalisti.
Ha anche perso il lavoro?
Avevo già lasciato il lavoro prima. Mi ero licenziata perché mio figlio stava male ed ero preoccupata.
Cosa era accaduto prima della sparatoria?
Il giorno prima Alejandro era sparito per ore. Era ritornato tardi, sporco e con una valigia piena di cose sporche. Gli avevo chiesto dove fosse, lui aveva risposto che era andato a cercare un aereo per andare via perché c’era una navicella che lo cercava. Faceva discorsi strani, sentiva voci... diceva che qualcuno lo perseguitava, che lo volevano uccidere e che volevano uccidere anche me. Evidente che non stava bene. Ma siccome quando abitavamo in Germania aveva già fatto cose pericolose, aveva infatti rubato una macchina entrando in aeroporto (lo straniero aveva sfondato una barriera irrompendo nell’area di sicurezza dello scalo di Monaco. Era stato poi fermato e portato in una struttura psichiatrica, ndr), avevo paura che potesse rifare qualcosa di grave.
Lei come si è comportata?
Mio figlio mi aveva tenuta sveglia tutta la notte con quei discorsi. Ripeteva “mamma, mi vengono a uccidere, mi vengono a uccidere. Uccideranno anche te... come fai a stare a letto?”. Allora il giorno dopo ero andata all’ospedale Maggiore, in psichiatria, per domandare aiuto. Volevo parlare con qualcuno di questo problema. Mentre aspettavo è arrivato l’altro mio figlio (Carlysle, ndr) ad avvisarmi che Alejandro aveva rubato un motorino.
In ospedale cosa le è stato detto?
Che non si poteva fare niente per Alejandro fintanto che non avesse fatto del male a se stesso o ad altri. Così sono rimasta ancora una volta da sola, come sempre, con tutti questi problemi.
Dai video sembra che suo figlio sappia usare le armi.
Non ha mai avuto armi.
Eppure ha sparato all’impazzata impugnando due pistole.
Pensi che Germania, in quell’episodio dell’aeroporto, aveva rubato un’Audi facendo più di 300 chilometri. E non aveva nemmeno la patente. Non aveva mai guidato. Una persona che non ci sta con la testa fa questo e altro.
In questi mesi ha incontrato suo figlio in carcere?
Sì, nei mesi scorsi ho potuto vederlo alcune volte. All’inizio era in ospedale intubato, poi l’avevano legato a letto. Ai piedi, alle mani e al torace. Ha sofferto in un modo che non augurerei al mio peggior nemico. È mio figlio ed è malato di mente. Comunque nell’ultimo periodo mi pare che stia meglio perché prende i farmaci ed è tenuto sotto controllo.
Cosa dice della sparatoria?
Non ricorda. Si è visto in tv, ma non si rende conto di essere lui. Ma cerco di non parlargli di questo perché si mette a piangere. —
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