Afghanistan, il generale Risi: "La nostra sfida tra caldo e rastrellamenti di talebani"

L'alto ufficiale triestino comanda la Brigata alpina Julia e reparti internazionali di supporto nella Regione Ovest. Questa è la seconda parte dei suoi appunti personali

Annotazioni "di bordo", sensazioni, analisi e impressioni colte e sviluppate nella serrata trafila d'impegni giornalieri, tra la responsabilità del comando e la fatica di portare avanti una missione complessa il cui "focus" maggiore è, cessata l'Operazione Isaf che prevedeva anche l'ingaggio diretto degli italiani nei combattimenti, quello di istruire e aiutare le Forze armate di Kabul in modo che arrivino all'autosuffcienza in fatto di pianificazione e controllo delle manovre sul terreno, e in merito alla programmazione e capacità logistiche.

Un compito affidato nella Regione Ovest dell'Afghanistan dalla scorsa primavera al generale triestino Michele Risi, a Herat al comando della Brigata alpina Julia di base a Udine e di alcuni reparti internazionali di supporto. Una missione  che la "Julia" doveva chiudere entro la fine dell'anno ma che in base a pressioni statunitensi sul governo verrà proseguita, anche se con organici ridotti, verosimilmente dalla Brigata Aosta.

Il generale Risi ha accettato di inviarci, senza scadenze temporali precise, una sorta di "diario da Herat" (p.p.g.)

Questa è la sua seconda parte.

È una giornata molto calda qui ad Herat, si sfioriamo i 45 gradi. Gli uomini del 207° Corpo d'Armata dell'Esercito afgano, l'Afghan National Army (Ana), sono qui con noi, per preparare e condurre un'importante attività.
Da diversi giorni parte del Military Advisor Team (Mat), un team di specialisti dell'Esercito italiano, sloveno e spagnolo alle mie dipendenze, sta preparando un enorme plastico.
Questi uomini insieme ai “tutor” italiani e internazionali della Centrale operativa e della Polizia afgane, svolgono una delle attività primarie di questa nuova missione Resolute Support (Rs): quella di assistere e consigliare le Forze armate afgane nella preparazione e condotta delle operazioni. E sono considerati la punta di diamante del nostro dispositivo.
La regione di Herat negli scorsi mesi è sembrata a molti un'oasi di sicurezza. I talebani hanno provato ad attaccare alcuni remoti distretti e sono stati sconfitti, hanno provato a colpire le Forze armate poste agli ordini del generale Jaheed (comandante del 207°Corpo d'armata) che hanno immediatamente risposto all'attacco e sconfitto il nemico. In città, intanto, il generale Roozi, un colosso di etnia uzbeka al comando della Polizia provinciale, ha colpito duramente il cuore del dispositivo nemico effettuando numerosi arresti, confiscando ingenti quantitativi di droga, sgominando le bande di malviventi ed eliminando alcuni dei principali comandanti talebani dell'area.
Tutto questo è stato possibile perché nulla qui viene lasciato al caso: dietro ogni azione delle Forze armate afgane c'è un lavoro costante e minuzioso di tanti uomini della Coalizione che fanno sì che il piano per garantire la sicurezza dell'area funzioni.
L'enorme plastico a cui si sta lavorando riproduce fedelmente l'area dell'operazione; un capitano sloveno è incaricato di dirigere l'attività e insegnare al personale afgano come prepararlo. Su questo plastico i comandanti afgani, guidati dal capo di Stato maggiore del 207° Corpo d'armata, generale Ghori, hanno rivisto le fasi dell'azione.
Per gli uomini del Taac West (Train Advise and Assist Command West), in maggioranza provenienti dalla Brigata alpina Julia, non è tuttavia solo il risultato che conta. Sicuramente la cattura di un altro leader talebano renderebbe l'area più sicura ma la sfida più grande è far si che questi incredibili combattenti, quali sono i soldati afgani, siano in grado di pianificare e coordinare un’attività così importante e complessa da soli. Il plastico è solo uno degli assetti schierati e serve a fare visualizzare materialmente quello che si vedrà sui monitor che riportano le immagini trasmesse dagli Uav (aerei senza pilota) mostrando l'attacco in tempo reale e imponendo, quindi, di prendere decisioni immediate, attività assolutamente non facile. Sfide continue per i nostri team di consiglieri in cui, ogni giorno, si cimentano; professionisti giovani e meno giovani, alpini e bersaglieri insieme, ciascuno fornendo il proprio prezioso apporto. Tra loro, a esempio, il tenente colonello Guido Russo, che si occupa della gestione logistica, una branca assolutamente vitale in un Paese con poche infrastrutture funzionali come l'Afghanistan, e che ogni giorno instancabilmente ricorda alla sua controparte afgana: «Qui se non pianifichi bene i rifornimenti, muori, hai capito? Muori!».
Al mattino stanchi e un po' delusi per gli scarsi risultati ottenuti, i nostri colleghi afgani tornano alla loro base. Pazienza sarà per un'altra volta, il nemico non c'era, intanto si rallegrano, oggi nessuna perdita.
Chi invece è contento sono io: il ritorno di questa attività è stato eccellente, per la prima volta gli ufficiali afgani hanno pianificato e condotto un'operazione complessa in modo esemplare; lo pensa anche il generale statunitense icano Semonite, comandante di Cstc-A (Combined Security Transition Command - Afghanistan) e Mr. Sopko, lo special investigator general for the Afghanistan Reconstruction che lo accompagnava, estasiati di fronte alle capacità di questi uomini, Non avevano mai visto nulla di simile, organizzazione italiana, capacità slovena e un pizzico di fantasia spagnola.
Pazienza, sarà per la prossima volta, intanto l'alba rischiara e un altro giorno sorge su Herat.

 

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