Adunata del Pd triestino, Cok studia per segretario
«Meno male che Debora c’è». Altrimenti sarebbe difficile capire da dove ricominciare. «Ripartire dalla vittoria di Debora: dal Venezia Giulia le proposte per un Pd rinnovato e vincente» era il titolo programmatico della prima assemblea pubblica del Pd dopo le “vicende sconcertanti” (parola dell’ex segretario ora illustre senatore Francesco Russo) degli ultimi tempi e il governo di Enrico Letta che «non è il nostro governo» (ibidem). Non c’è nulla di più deprimente di questi tempi di un’assemblea del Partito democratico. C’è da uscire di testa. A Trieste non ci sono neppure gli OccupyPd a animare le sedute pubbliche di autocoscienza. La sala Tommaseo del NH Hotel è quasi piena. «Non è neanche così male dopo quello che è successo» assicura Aureo Muzzi, reduce renziano. E stato anche l’addio alla segreteria del dimissionario Russo passato al “luminoso incarico di senatore“ (detto senza ironia da Pietro Faraguna, uno dei tre reggenti della segreteria attuale). La crisi del partito è profonda e si respira nella lunga sfilza degli interventi che si susseguono fino a tardi in una specie di rosario per il morto. Eppure il Pd non è mai stato così potente da questi parti come ora dopo la vittoria di Debora Serracchiani. Al governo per la prima volta di tutti gli enti locali della provincia. «L’intera filiera» dice Russo. Un fatto incredibile in un territorio storicamente di centrodestra. Inimmaginabile fino a poco tempo fa. «Con l’eccezione della circoscrizione di Chiarbola, il Pd controlla tutto» fotografa Faraguna. Eppure non basta per fare ripartire il partito. «Auspico che da parte nostra ci sia la capacità di alzare la serranda della buona politica. Dobbiamo aprire una nuova fase costituente» butta là Russo. Una fase ricostituente sarebbe meglio. Con dosi da cavallo. E, infatti, basta che accenni al governo Letta che la platea rumoreggia. Le larghe intese non sono state digerite e non è detto che lo possano mai essere. Silvano Magnelli ricorda la “carica dei 101” che hanno fatto saltare la candidatura di Romano Prodi. Un collega su quattro di Russo che ha tradito nell’urna. «E sarebbe pronti a rifarlo se non vengono scovati» aggiunge Claudio Boniciolli. Il sindaco Cosolini gioca la carta della detassazione del lavoro contro l’abolizione dell’Imu e si becca l’applauso della serata. A parlare sale anche Roberto Degrassi che spiega il successo del Pd da queste parti con il voto della seconda generazione degli esuli. «C’è chi ha i giovani turchi, noi abbiamo i giovani istriani» commenta Faraguna. All’assemblea c’è un convitato di pietra, ma nessuno ne parla. E il nome del nuovo segretario che dovrebbe essere eletto dall’assemblea di sabato 18 maggio. «L’Epifani di Trieste» come suggerisce qualcuno. Venerdì si sono autoconvocati in corso Italia in una cinquantina su iniziativa di Muzzi, Luca Salvati e Andrea Brunetta per discutere del “futuro segretario del Pd di Trieste”. Auspicavano un segretario “autonomo, aggregante e autorevole. Magari di transizione». Ma su qust’ultimo punto il partito (o quello che resta) sembra non transigere, preferendo un segretario alla “‹ok” (la pronuncia esatta non è questa). Fresco, di giornata, non troppo bollito. L’uovo perfetto. Si chiama Štefan ‹ok, consigliere provinciale, nato nel 1983, appartenente alla minoranza slovena. La sua autocandidatura circola su un documento di tre cartelle che ha la benedizione dei colonnelli del partito. «Non aspettiamo Roma per capire se il Pd ci sarà ancora. Potremo togliere il se dalla frase soltanto togliendolo prima di tutto dal nostro agire quotidiano» dice l’aspirante guida del Pd di Trieste. Segretario, non traghettatore.
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