Adonis: «Al Premio Nonino mi batto per la poesia»
VENEZIA. «Vengo da una terra in cui la poesia è come un albero che veglia sull’uomo e in cui il poeta è uno che comprende il ritmo del mondo». In questo modo parla della sua vocazione poetica Ali Ahmad Sa'id Isbir, più conosciuto con lo pseudonimo di Adonis, poeta e saggista siriano-libanese fondatore del gruppo Tammuzi per la rinascita culturale araba. E proprio con un recital dedicato ai versi di questo celebre poeta candidato al Nobel si è aperto ieri sera a Venezia Incroci di Civiltà, il Festival internazionale di letteratura promosso dall’Università Ca’ Foscari e dal Comune di Venezia. Poeta, traduttore, critico letterario, Adonis è considerato il caposcuola dei nuovi poeti arabi. I suoi versi, di tono fortemente sociale e politico, sono particolarmente amati soprattutto dai giovani, perché nascono da una profonda conoscenza della poesia classica araba, ma sono anche espressione di un modo nuovo, moderno, rivoluzionario di fare poesia.
Quanto è importante il dialogo tra culture in un mondo in perenne conflitto?
«C’era un vecchio scrittore che diceva “l’amico è un’altro te stesso”e nella tradizione araba questo spiega l’importanza dell’altro: l’io non esiste senza l’altro. Il dialogo tra culture è veramente importante, ma fondamentale è soprattutto come si dialoga. Purtroppo l’Occidente non è così disposto a dialogare con gli altri. La poesia però è il luogo dove tutte le contraddizioni si appianano e dove tutte le persone, i popoli e le culture riescono a parlarsi, dunque la poesia naturalmente è portatrice di pace».
Lei è un innovatore, in cosa le piacerebbe che cambiasse il mondo arabo?
«Scrivere è cambiare, è donare una nuova immagine del mondo, trasformare i rapporti tra le parole e le cose, e tra le cose e gli uomini. La poesia è rivoluzione. Ma per cambiare una società bisogna cambiare le istituzioni, l’educazione, l’università, la scuole, la lingua, la condizione delle donne, la legge. La poesia può indicare la strada ma non può farla, sono gli uomini e le donne a cambiare la società».
E dell’Italia cosa pensa?
«E’ un grande paese con una piccola politica».
Dopo averlo vinto nel ‘99, da alcuni anni lei è nella giuria del Premio Nonino che sembra essere diventato una fucina di futuri Nobel.
«Personalmente il Nobel non m’interessa, se viene bene se no pazienza. Essere nella giuria del Nonino invece è un occasione per mettermi in contatto con amici, confrontarmi con altri modi di pensare, insomma un’occasione di dialogo. Le giurie non sempre vanno d’accordo e io sono molto combattivo, ma solo per la poesia».
Flaubert diceva che la poesia è una scienza esatta come la geometria.
«No, la poesia è come l’amore, il mare, la tempesta, mai come la geometria. In genere sono contro tutti i tentativi di definire la poesia. Ci sono cose talmente grandi che non si possono definire, come l’amore e la poesia. Bisogna anche accettare il fatto che ci sono domande a cui non si può dare una risposta».
Nelle sue biografie si dice che lei abbia imparato la poesia e il Corano da suo padre.
«Mio padre era un contadino e mi insegnava la bellezza della lingua del Corano. Vivevamo in villaggio molto povero senza elettricità, senza automobili, senza scuola. Non potevo studiare. Poi a 14 anni un miracolo, grazie proprio alla mia poesia».
E’ vera dunque la storia che il presidente della Siria in visita al suo villaggio l’ha sentita leggere una poesia e colpito dai suoi versi le ha chiesto quale fosse il suo desiderio più grande?
«Si, è vero. A quella domanda io risposi che il mio sogno era studiare. Così da quel giorno la mia vita cambiò. E’ per questo che dico che un poema mi ha creato».
Che rapporto ha con Dio?
«Anche Dio come la poesia è una domanda senza risposta. Io sono a-religioso, ma ho un gran rispetto per tutti i credenti. La religione è una cosa, Dio un'altra».
E la poesia cos’è per lei?
«E’ amare. Se la filosofia non ha niente da dire, se la storia non ha niente da dire, la poesia ha sempre qualcosa da dire».
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