Adolescenti: quando il figlio si ribella per “rinascere”

Aldo Raul Becce all’incontro promosso dall’Alt su un’età difficile che si traduce nella “morte”del bambino e in un nuovo essere che i genitori devono riconoscere
Di Gabriella Ziani
Lasorte Trieste 13/10/14 - Ex OPP, Teatrino Basaglia, Conferenza Aldo Becce
Lasorte Trieste 13/10/14 - Ex OPP, Teatrino Basaglia, Conferenza Aldo Becce

Gli adolescenti? Sono dei ribelli per definizione, perché la ribellione è il modo più classico per separarsi, per rinascere, per differenziarsi dal bambino che si era in passato. E ai genitori spetta il compito di riconoscere la morte simbolica del proprio figlio come bambino e la sua rinascita come essere indipendente, che afferma la proprietà del proprio corpo e inizia a cercare un riconoscimento nel gruppo e non più all’interno della famiglia.

Secondo lo psicanalista Aldo Raul Becce - protagonista ieri al Teatrino Basaglia del secondo affollatissimo incontro dedicato all’adolescenza, promosso dall’Associazione di familiari e cittadini "Alt" e dedicato proprio al tema della ribellione nell’adolescenza – questa fase della vita è ugualmente problematica per i ragazzi che l’affrontano così come per i loro genitori. «Arrivano da me genitori angosciati e delusi, perché il figlio sembra non amarli più. Hanno vissuto il trauma del cambiamento del figlio, divenuto un estraneo perché il bambino che c’era ieri non esiste più», racconta Becce. Metabolizzare la “morte del bambino” è difficile ma necessario, dice lo psicanalista di origine argentina, il lutto va affrontato perché con l’adolescenza si entra in un altro momento della genitorialità, che richiede di rinunciare inevitabilmente a una certa dose di controllo sulla vita del proprio figlio. Se la prima parte dell’infanzia è caratterizzata dall’alienazione, dice Becce, l’adolescenza rappresenta la separazione. E una separazione non è mai indolore: «Per strappare il corpo dal controllo genitoriale lo si deve far viaggiare a tutta velocità sul motorino, lo si deve ubriacare, lo si deve metaforicamente uccidere – spiega lo psicanalista -, perché dove c’è un adolescente è morto un bambino. L’adolescenza è quindi una terra di mezzo in cui i ragazzi devono affrontare nuove sfide: non sono più i “bambini-messia” che erano per i loro genitori nell’infanzia, ma si ritrovano ad essere soltanto un’unità in più all’interno del gruppo dei loro coetanei, dal quale vogliono essere accolti e riconosciuti». Hanno bisogno, dice Becce citando Dylan Thomas, di una maschera, di una collocazione all’interno del gruppo.

«Il gruppo deve strapparli alla famiglia – sottolinea Becce -, e odia tutti quelli che hanno scritto nella testa “i miei genitori mi amano”. Ti mette davanti a scelta precisa, o stai con loro o stai con noi, e i casi più problematici si creano quando “stai con loro”: gli adolescenti “buoni” rimangono bambini». Non a caso e provocatoriamente lo psicanalista identifica nella «prima volta che ti dice stronza» il passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Un colpo terribile per il narcisismo genitoriale, che si scatena con frasi tipo «con tutto quello che ho fatto per te» e «non ti riconosco più». La separazione è dolorosa sia per i genitori sia per i figli, ma inevitabile. Non si risolve con il “genitore amico”, né consentendo di fare qualsiasi cosa. Ma i no è meglio cominciare a dirli da subito ai propri figli, e non in fase adolescenziale. Molte delle insicurezze degli adolescenti sono poi un riflesso dei dubbi dei genitori, che al giorno d’oggi non possono più dire con assoluta convinzione «studia che poi senz’altro troverai un lavoro». Insomma, ai problemi tipici dell’adolescenza si sommano quelli di un’epoca priva di certezze.

Il prossimo e ultimo incontro del ciclo lunedì 27 ottobre alle 17.30, sempre al Teatrino Basaglia: Ezio Aceti, esperto in psicologia dell’età evolutiva parlerà di “Adolescenti oggi: fragilità e risorse”.

Giulia Basso

Riproduzione riservata © Il Piccolo