Addio a Willer "Tex" Bordon. Fu due volte ministro partendo da Muggia

ROMA. Il soprannome Tex fu quasi obbligato per un uomo di frontiera, un cowboy muggesano. Willer Bordon si è spento ieri a 66 anni, dopo una lunga malattia, ai Castelli Romani: era approdato nella Capitale dopo i primi passi politici nella sua Muggia, dove era nato e diventato sindaco (ai tempi il più giovane d'Italia: 27 anni).
Rapido il salto sulla scena nazionale: con le elezioni politiche del 1987 divenne deputato. Nelle file del Partito comunista, il suo partito. Necessaria appartenenza per filo di famiglia, visto il padre partigiano rosso (uno che andava alle riunioni con gli jugoslavi poggiando, come primo atto, la pistola sul tavolo) e il nonno anarchico da cui, parole sue, prese il gusto dell'eterodossia: «Mi trovo male nei partiti. Consegnare la testa alle segreterie, a me non va».
E infatti il suo percorso con le formazioni politiche è stato sempre piuttosto movimentato. «Trasformista», lo tacciavano i critici visto l'elevato numero di sigle accumulate negli anni (dieci); «innovatore», preferisce invece ricordarlo Ettore Rosato, capogruppo Pd alla Camera, amico di vecchia data per il legame della comune triestinità (marcata dalla medesima abitudine nel parlare, con interlocutori triestini, in dialetto triestino, a Trieste e - con più gusto ancora - a Roma).
La sua allergia all'uniforme di partito fu dopotutto subito chiara sin dal quel primissimo approdo a Montecitorio: in pochi mesi, accanto alla carta d'adesione al Partitone rosso governato allora da Achille Occhetto, Bordon mise la tessera dei Radicali, suscitando ire furibonde alle Botteghe Oscure (ci si mise anche Cicciolina, neodeputata pannelliana in quella decima legislatura, che a tradimento lo baciò, aggirando il servizio d'ordine comunista ed eternando l'attimo). La cosa si risolse con tipico sotterfugio da Prima Repubblica: ok, si era iscritto ai radicali, ma Bordon ebbe l'ordine tassativo di dire in giro che quella tessera non gli era mai arrivata. Vecchi tempi.
E tuttavia il legame col Pci, nel frattempo diventato Pds, non durò a lungo. Bordon divenne promotore di Alleanza Democratica, idea che nacque da lui e Ferdinando Adornato, il quale fu l'unico di quel gruppo - lo faceva notare Bordon stesso in un'intervista a Claudio Sabelli Fioretti non senza perfidia, quando ormai l'ex giornalista dell'Unità era passato a destra - a non andare mai al governo: sorte toccata invece a Peppino Ayala, Giovanna Melandri, Enzo Bianco, Giorgio Bogi... E a Bordon stesso: che fu sottosegretario ai Beni culturali nel Prodi I, ministro dei Lavori pubblici nel D'Alema II e ministro dell'Ambiente nell'Amato II (vera bestia nera di Radio Vaticana per l'elettrosmog: in linea con un altro dei suoi soprannomi, Killer Bordon, datogli da quell'impareggiabile battutista di Francesco Storace, dopo la sua vittoria complicata in un collegio romano contro Maurizio Gasparri nel 1996).
Nel frattempo il suo libertinaggio politico lo aveva portato a fondare l'Idv con Di Pietro, poi I Democratici con Parisi, e infine a entrare nella Margherita nel 2001, diventandone il capogruppo al Senato. Rieletto nel 2006, lascia i rutelliani nel 2007, alimentando su di sé i sospetti di avversione a Prodi, intanto tornato a Palazzo Chigi. C’era in realtà una contrarietà ben più profonda, testimoniata dalle dimissioni da senatore date nel giorno del suo compleanno, il 16 gennaio 2008: esattamente una settimana prima della caduta dell'esecutivo del Professore. Bordon provò un'altra avventura con i Consumatori Uniti per il Parlamento. Quindi, in tempi di lotta alla Casta, divenne un paladino degli indignati scrivendo due libri, "Perché mi sono dimesso dalla Casta" e "Manifesto per l'abolizione dei partiti politici", così guadagnandosi la stima di Beppe Grillo per il quale si schierò apertamente nel 2013.
Uscito dal Parlamento, Bordon, che pure aveva attenzione costante ai fatti del Palazzo, trovò fortuna nell'imprenditoria, cofondando e dirigendo una società che si occupa di produzione di biocombustibile di biomasse algali in quel di Venezia. La Sapienza gli affidò un insegnamento in nome della sua lunga esperienza. Lui poi volle ritornare in zona Montecitorio, ma non per un seggio quanto per una poltrona, una di quelle comode da platea: riaprì infatti con l'attore Geppy Gleijeses il Teatro Quirinetta.
Da uomo di mondo, il suo mondo non si esauriva nella frequentazione del Palazzo, ma contemplava il gusto per le giacche ben tagliate, i buoni vini, la cura del corpo (celebre un servizio di Novella 2000 sulla sua ginnastica vacanziera, intitolato "Ci vuole un fisico bestiale").
Grande sua passione, lo spettacolo: Ettore Scola lo aveva voluto per una parte in un suo film politico-sentimentale su un trio di comunisti romani, "Mario, Maria e Mario", dove Bordon faceva - ça va sans dire - il segretario di sezione (su quel set incontrò l'attrice Rosa Ferraiolo, che sarebbe poi diventata la sua seconda moglie, nel 2008 tirata malignamente in ballo per una sua possibile parte in una fiction Rai in cambio dell'abbandono del centrosinistra da parte di Bordon: tutto falso).
E per restare al teatro, non va dimenticato che anni prima, insieme a un mostro sacro della scena come Giorgio Strehler, entrambi triestini ed entrambi comunisti, si era impegnato per una legge sulla fondazione e la ristrutturazione dei teatri. Appena poté, ci si impegnò in prima persona: alla faccia dell'incoerenza di cui lo accusavano.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo