Addio a Fulvia Levi, «luce positiva» nel buio disumano delle leggi razziali
TRIESTE Fulvia Levi non c’è più. Si è spenta domenica all’età di novant’anni a Trieste, sua città natale, una delle colonne portanti della Comunità ebraica cittadina. Chi la conosceva ricorda la sua presenza come una «luce positiva» e «piena di grazia». Eppure ebbe infanzia e adolescenza segnate dalle persecuzioni razziali. Ma anche da un incontro salvifico che, in seguito, la portò a spendersi in prima persona affinché fossero riconosciuti come Giusti tra le Nazioni coloro che, a proprio rischio e pericolo, permisero a lei e alla sua famiglia di sopravvivere. Al suo senso di giustizia era unito un grande sentimento d’amore, che la portava a circondarsi di giovani, ai quali fino all’ultimo non si è stancata di trasmettere la fiamma viva della memoria.
Nacque a Trieste nel 1930 da Elisa Loly e Carlo Levi. Aveva otto anni quando, nel 1938, fu esclusa dalla scuola elementare “Vittorio Emanuele III” di via Giotto. Assieme alla sorella Bruna, più grande di lei di nove anni, continuò a studiare nella scuola media ebraica finché rimase aperta: «Fu un’iniziativa comunitaria per restituire speranza nel futuro a una generazione che se l’era vista negare dal fascismo – racconta Mauro Tabor, assessore alla Cultura della Comunità ebraica e amico personale di Fulvia –. Un modo per avere una parvenza di quotidianità, per quel che si poteva: Fulvia ne parlava come di un momento felice». In un’intervista rilasciata alla Chiesa luterana italiana pochi mesi prima di morire, Fulvia di quel periodo ha ricordato anche il «gelo» creatosi attorno a loro, il vivere senza dare nell’occhio per timore di ripercussioni.
Dopo l’8 settembre 1943 i Levi fuggirono da Trieste, occupata militarmente dai nazisti. Bruna, neosposa, scappò in Svizzera con il marito. Dopo varie peripezie Fulvia e i genitori per passaparola arrivarono a Oriago (frazione di Mira, vicino a Venezia), dove una signora di nome Adele Zara si era detta disposta a ospitarli. «Gli Zara erano una famiglia semplice, come spesso sono quelli che ragionano normalmente – prosegue Tabor –. I Levi vivevano nascosti, sul filo del rasoio, bastava una segnalazione per essere deportati. Fulvia amava ricordare che alla vigilia del Kippur, il digiuno d’espiazione del 1944, il papà era riuscito a trovare un pollo e l’aveva portato alla mamma per fare il brodo. A guerra finita la famiglia si riunì a Trieste: Bruna e il marito, partiti in due, tornarono in tre. Per Fulvia prendere in braccio la nipotina, che era come una bambola, rappresentava il simbolo della restituzione dell’infanzia che il fascismo le aveva tolto».
Riprese a studiare, si laureò in Lingue e Letterature straniere e per 37 anni insegnò Inglese nelle scuole triestine. Al contempo mantenne il legame che ormai l’univa al Veneto, diventando negli anni un’ospite fissa delle cerimonie per la Giornata della Memoria a Mira. Il 25 febbraio 1996, su segnalazione di Fulvia, Adele Zara fu proclamata Giusta tra le Nazioni dalla commissione dello Yad Vashem di Gerusalemme: era mancata nel 1969, ma il diploma è stato consegnato a tutta la sua famiglia.
Fulvia Levi fu in generale «una testimone proattiva della memoria – continua Tabor –, in funzione del presente. È stata un’insegnante nella vita e di vita, a volte anche dura, ma sempre con giustizia e bontà, per far crescere. Amava la sua famiglia e in particolare la sorella Bruna. A contatto con i giovani era raggiante e, quando parlava, in classe non volava una mosca. Non aveva odio per nessuno ma senso di giustizia. È stata una luce positiva».
Nel 2018, a ottant’anni esatti da quando Mussolini proclamò le leggi razziali da piazza Unità, si è prodigata per aiutare il liceo Petrarca a organizzare la mostra “Razzismo in cattedra”. Liceo che adesso in un messaggio di saluto la ricorda così: «Sorella di Bruna Levi, una delle studentesse ebree espulse dal Petrarca nel 1938, Fulvia è stata infaticabile e generosissima testimone degli orrori delle persecuzioni antiebraiche. Esempio di energia e determinazione, tra le sue parole più toccanti vanno ricordate queste: “Dal Petrarca cominciò il male, dal Petrarca comincia il bene”.
«Credo di parlare a nome di tutti noi dicendo che averla conosciuta sia stato un grande onore – aggiunge Bianca Esposito, allora rappresentante della classe coinvolta nel progetto della mostra che fece molto discutere per l’iniziale opposizione del Comune –. Per noi è stata come una compagna di classe durante quel percorso. Il suo insegnamento continuerà a vivere attraverso noi ragazzi».
Sempre nel 2018 c’era anche Fulvia a ritirare il San Giusto d’Oro, a nome della Comunità ebraica. L'anno scorso ha inoltre tradotto in inglese il libro di sua nipote Luisella Schreiber Segrè (“Questa mia pazza fede nella vita”), sulla storia di Bruna. Così il Museo ebraico Carlo e Vera Wagner: «Una donna rara, dalla tempra eccezionale, una roccia, ma piena di grazia. Aveva il dono di saper trasmettere il proprio vissuto con lucidità, umanità e senso di giustizia, senza retorica ma semmai con molto più di un pizzico di ironia».
«Un duro colpo per la collettività – afferma il presidente della Comunità ebraica, Alessandro Salonichio –. Fu sempre presente in tutte le attività di volontariato, alle funzioni religiose, generosa, mantenne vivo il ricordo della Shoah nelle nostra città e famiglie. Con lei viene meno una delle ultime testimoni. Una voce a volte critica, sempre costruttiva, con modi delicati per far valere le proprie idee, che ci ha permesso di portare a termine molte iniziative. Il suo ricordo d’ora in poi sarà uno stimolo». —
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