Addio a Belci, lo stratega democristiano

Morto a 84 anni Corrado Belci, triestino a lungo protagonista parlamentare, stratega nella Dc dei tempi d'oro

E' morto a 84 anni, dopo una lunga malattia, Corrado Belci. Scompare così una figura esemplare dell'orizzonte politico triestino tra gli anni cinquanta ed ottanta del secolo scorso. Esule istriano, giornalista, segretario provinciale della Democrazia cristiana, deputato per tre legislature dal 1963 al 1979, stretto collaboratore di Aldo Moro, sottosegretario al commercio estero, ascoltato interprete del cattolicesimo democratico. Lasciata con la famiglia l'Istria ceduta alla Jugoslavia si trasferisce a Trieste alternando la professione di giornalista a quella di attivo militante nella Democrazia cristiana riconoscendosi nella linea politica e culturale di Giuseppe Dossetti, in quegli anni piuttosto lontana da quella espressa in città dal partito.

Le responsabilità E' stato un uomo che si è assunto la responsabilità delle scelte più difficili e delle svolte programmatiche dalla fine del lungo periodo contrassegnato da Gianni Bartoli all'esperienza del centrosinistra; dal dialogo con la sinistra all'apertura al mondo sloveno; dalle più difficili questioni legate alla recessione produttiva triestina con la chiusura dei cantieri al tentativo di rilancio economico con la legge dei "45 miliardi" fino al trattato di Osimo con la prevista realizzazione della zona franca industriale a cavallo del confine italo-jugoslavo. Le svolte Belci entrò a pieno titolo nella scena politica nel 1957 quando la corrente di Iniziativa democratica da lui guidata si impone nel XVI congresso provinciale Dc a quella di Concentrazione democratica, di Romano e Spaccini espressione dei cattolici del CLN, chiudendo di fatto una lunga fase politica cittadina.

Belci rappresenta la seconda generazione, dei giovani dossettiani, confluita nel raggruppamento di Fanfani e Rumor, e pone a termine lo scontro tra il municipio, retto da Gianni Bartoli pure esponente di spicco democristiano, e palazzo Diana ovvero la segreteria locale del partito. Così a Trieste si anticiperanno alcuni temi della politica italiana degli anni Sessanta e anche alcuni motivi del dibattito di allora sul modo di intendere la politica con la netta separazione tra istituzioni e segreterie politiche. Nel particolare contesto triestino caratterizzato da un forte municipalismo, Iniziativa democratica, inoltre, libera il governo cittadino dalle alleanze politiche di destra e di un appoggio morale missino per superare la logica del "fronte unitario italiano" che aveva caratterizzato il decennio precedente.

La successiva apertura al Partito socialista significava pure il riconoscimento della compontente slovena dell'Unione socialista indipendente, in parte proveniente dalle ex file titoiste, che si stava avvicinando alle posizioni di Pietro Nenni, con la possibilità quindi di dare vita ad un centrosinistra con repubblicani e socialdemocratici. Un lungo processo che approderà solo nel luglio 1965 provocando forti tensioni in piazza e qualche malumore con l'arcivescovo Antonio Santin e la componente cattolica più tradizionale. Le scelte Belci è protagonista prima nella costituzione della regione autonoma Friuli Venezia Giulia in cui ripone forti speranze per fare di Trieste non solo capoluogo ma propulsore dell'intera economia regionale, poi nella "guerra" con Genova per la difesa dei cantieri.

Davanti alla chiusura del San Marco, egli ottiene, a compensazione, dal ministro delle Partecipazioni statali Bo e dal presidente dell'Iri Petrilli la sede triestina dell'Italcantieri ma è l'intera città a soffrire la disattenzione governativa nel campo infrastrutturale. Però gli anni Sessanta di Trieste sono ancora protesi ad immaginare una città in forte crescita demografica e urbanistica in cui non si coglie un declino già annunciato da tempo e che giunge nel decennio successivo. Così gli accordi economici del trattato di Osimo sono interpretati come una opportunità ma l'impatto nell'opinione pubblica della natura del trattato italo-jugoslavo sortisce effetti opposti che risulteranno disastrosi per la tenuta dei partiti tradizionali e in particolare per la Dc che fino a quel momento aveva goduto del larghissimo appoggio elettorale degli esuli istriani. Forse questa è stata la più dolorosa scelta alla quale egli non si è voluto sottrarre facendosi carico di una pesante eredità storica alla quale non vedeva altra via di uscita.

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