Accoltellata alla gola: giallo riaperto in Appello
Non ci sono prove sufficienti per confermare la condanna ad Ashwani Kumar, l’unico indagato per l’aggressione a Sabine Pollanz, la quarantaseienne austriaca trovata con un taglio alla gola lungo il Sentiero dei Pescatori, nei pressi della Costiera, nel maggio del 2012. L’uomo, un giardiniere che lavorava nelle ville del Carso, è in carcere da due anni: potrebbe non essere lui l’autore del tentato omicidio. Ieri la Corte d’Appello ha chiesto di acquisire altri elementi e testimonianze per far luce sulla vicenda. Il giallo, dunque, si riapre.
Tre ore e mezzo, tanto è durato il dibattimento in Camera di Consiglio ieri pomeriggio. L’indiano, oggi trentenne, nel corso della sua deposizione ha ribadito la propria estraneità ai fatti. Sono stati i due avvocati, Marta Sileno e Raffaele Leo, a evidenziare le «carenze investigative» e «l’insussistenza di elementi indiziali». Tanto da convincere la Corte ad andare più a fondo.
Al momento, quindi, l’impianto accusatorio con la condanna a 8 anni in primo grado non viene ritenuto valido «né per confermare la sentenza né per l’assoluzione». L’integrazione istruttoria richiesta ieri in Appello potrebbe effettivamente avviare un nuovo filone di indagine. Altre piste? Altri sospettati?
Sono molti gli angoli bui che gravano sulla storia. Quel che è certo è che Kumar era sul luogo del delitto: la vittima lo ha visto e poi riconosciuto nelle foto della Polizia. Ma la difesa sostiene che l’indiano si sia imbattuto nella donna, agonizzante, dopo la coltellata alla gola. Cioè dopo l’aggressione. E perché allora non ha allertato i soccorsi? Voleva farlo, è la tesi difensiva: è sceso verso la Costiera ma lungo le scale si è accorto di «due uomini» e ha preso paura. Terrorizzato, ha seguito l’istinto ed è scappato. Ma poi e ritornato: anzi, sarebbe lui stesso ad aver avvicinato spontaneamente, in un momento successivo, gli agenti. Che quindi hanno potuto identificarlo. I sospetti sono subito caduti su di lui, ma ora non convincono la Corte. A cominciare dalle perizie: non risulta alcuno «scambio di elementi biologici» tra i due. Viene pure messa in dubbio «l’attendibilità» della vittima nel riconoscimento dell’imputato.
Altre ipotesi, come quella passionale che potrebbero ricondurre ai quei due individui che l’indiano avrebbe visto, potrebbero assumere importanza. Inizialmente non si è voluto mettere troppo il naso sulla vita personale di Pollanz, sebbene lei stessa in prima battuta avesse fatto un nome e un cognome. Ma poi aveva ritrattato.
Tutti aspetti da riconsiderare. Lo impone la Corte perché - ormai è chiaro - quanto raccolto nel corso dell’indagine non sta più in piedi. Nemmeno le motivazioni che avevano comportato la condanna. Serve un’integrazione istruttoria. Verranno sentite altre persone adesso, proprio quando la Procura generale della Corte d’Appello aveva proposto un aumento della pena con l’aggravante dei «motivi futili e abietti» che avrebbero scatenato l’aggressione.
«E’ un buon risultato - osserva l’avvocato Leo - che conferma la nostra linea difensiva. Riteniamo carenti gli elementi in mano all’accusa e domandiamo l’assoluzione».
Il rinvio è fissato al 18 settembre, con una prima fase di integrazione dei nuovi elementi istruttori che potranno essere acquisiti.
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