Abuso d’ufficio, il gip contro Picchione
GRADO. «Abuso in atti d’ufficio». Si profila una nuova “grana” per l’ex direttore della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici del Friuli Venezia Giulia, Maria Giulia Picchione, già soprannominata la «signora no» per le innumerevoli bocciature di progetti con un seguito di cause e ricorsi davanti al Tribunale.
Una “mano ferrea” a ponderare le firme autorizzatorie sottopostele da enti pubblici e privati. A Grado ricordano bene il suo rigore, che ha lasciato il segno, tra gli ultimi atti prima del trasferimento a L’Aquila, sugli ulivi di Campo Patriarca Elia, tuttora impiantabili, in sostituzione dei pini marittimi tagliati dal Comune per la sicurezza pubblica. Anche in fatto di “dehors” l’Isola ha sudato le proverbiali sette camicie con l’ostica autorizzazione monumentale.
E ora un ulteriore “impiccio” gradese. Nella fattispecie, si tratta del maxi progetto promosso dal Consorzio Lido Moreri denominato “Grado 3”, per il quale si prospetta il possibile rinvio a giudizio per la “lady di ferro”. Alla base dell’indagine condotta dal Tribunale di Trieste, c’è l’esposto presentato dalla società del “patron” Bernardis nel giugno 2013, sentitasi «ostacolata in modo pretestuoso», ha affermato il legale avvocato Luca Ponti di Udine, a portare avanti l’operazione del complesso turistico da 220mila metri cubi, «privata dell’autorizzazione paesaggistica, nonostante che il progetto abbia ottenuto tutti i placet di prassi», ha aggiunto il legale.
Un percorso d’indagine lungo, tra le reiterate richieste di archiviazione da parte dello stesso Pubblico ministero, Lucia Baldovin, ed il sollecito del Gip invece ad approfondire le indagini. Finché la scorsa settimana al Tribunale triestino è scaturita l’inaspettata decisione. Il Gip Luigi Dainotti ha infatti stabilito la sussistenza dell’ipotesi di reato di “abuso in atti d’ufficio” a carico dell’ex soprintendente regionale. E di fronte alla richiesta di archiviazione del Pm in virtù dell’insussistenza probatoria del reato “soggettivo”, ossia dell’abuso compiuto volontariamente, il Gip ha invece disposto l’«imputazione coatta». Archiviazione respinta. Il Pm avrà 10 giorni per formulare l’imputazione («in ordine al reato di abuso di ufficio (articolo 323 Codice penale)»), per poi fissare l’udienza preliminare.
C’è a questo punto da aspettarsi un possibile rinvio a giudizio, almeno stando all’insolita, per non dire con le parole dell’avvocato Ponti «più unica che rara» disposizione del Gip, che di fatto s’è sostituito al Pubblico ministero proprio con l’imposizione dell’imputazione.
Lo ha spiegato chiaramente il Gip Dainotti, sostenendo che «la domanda di archiviazione, nei termini formulati, non può essere accolta, in quanto gli ulteriori atti di indagine preliminare, effettuati a seguito dell’ordinanza di questo Gip, uniti al materiale precedentemente acquiasito dal Pubblico ministero, hanno comunque apportato elementi probatori idonei a sostenere l’accusa in giudizio».
Ciò «in relazione non solo all’elemento oggettivo, ma anche all’elemento soggettivo del delitto di abuso in atti d’ufficio».
In altre parole, il Giudice per le indagini preliminari ha ritenuto sostenibile l’accusa in giudizio non solo in relazione al reato in sè, ma anche alla per così dire “volontarietà” a bloccare l’autorizzazione paesaggistica.
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