Abusi sulla figlia minorenne: papà condannato a 11 anni
Gli episodi si riferiscono a fatti avvenuti tra il 2012 e il 2014 nel Monfalconese. Il collegio penale ha ritenuto l’imputato colpevole di violenza sessuale aggravata. La difesa ricorrerà in appello
La lettura del dispositivo è stata data poco prima delle 19, l’altra sera, dopo circa 45 minuti di camera di consiglio. Una sentenza pesante, quella pronunciata dal collegio penale presieduto dal giudice Marcello Coppari, a latere i giudici Caterina Caputo e Lucia Vidoz, a carico di un uomo accusato di violenza sessuale aggravata nei confronti della figlia, all’epoca minorenne, di nazionalità italiana.
È stato infatti condannato alla pena di 11 anni e sei mesi. Si tratta del primo capo di accusa, che fa riferimento a una serie di episodi, contestati tra il 2012 ed il 2014. In relazione invece alla seconda imputazione, in ordine a un unico episodio collocato in epoca successiva, nel 2018, è stata pronunciata l’assoluzione con la formula «per non aver commesso il fatto». Oltre a una serie di misure a carattere interdittivo, il collegio ha inoltre disposto una provvisionale di 50 mila euro a favore della parte offesa, costituitasi parte civile, rimettendo al giudice civile il risarcimento del danno. Nei confronti dell’imputato è stato disposto pure il pagamento delle spese legali.
Si è concluso in questi termini il processo, celebrato a porte chiuse in ragione dell’estrema delicatezza della vicenda, che secondo le ricostruzioni si era verificata nel Monfalconese. All’epoca, nel corso del biennio 2012- 2014, la bambina aveva tra gli otto e i 10 anni.
Nell’ambito del dibattimento, caratterizzato dall’ascolto di innumerevoli testimoni, complessivamente almeno una ventina proposti dalle parti, l’elemento essenziale è stato rappresentato dalla “narrazione” dei fatti ricondotta alla ragazzina, di valore probatorio ai fini dell’affermazione della responsabilità penale dell’imputato stesso.
In questo senso la credibilità della vittima, oggi maggiorenne, circa le dichiarazioni raccolte, ha costituito il nucleo centrale dell’istruttoria, contrassegnata dalla netta contrapposizione tra pubblica accusa e parte civile da un lato e la difesa dall’altro. Il tutto, quindi, riferito alla prima contestazione, poiché per l’episodio collocato nel 2018, evidentemente, la dichiarazione di accusa della persona offesa non è stata ritenuta sufficiente ai fini di una condanna. Il pubblico ministero, al termine della sua requisitoria, aveva richiesto una pena di otto anni rispetto agli episodi contestati tra il 2012 ed il 2014, affermando l’attendibilità della ricostruzione fornita dalla minore, anche supportata da riscontri “esterni”, mentre per il secondo capo di accusa aveva richiesto l’assoluzione.
Divergenza netta, invece, tra la parte civile e la difesa, rispettivamente rappresentate dall’avvocato Federico Cechet, a sostenere in toto la credibilità della propria assistita, e dai colleghi Maurizio Rizzatto e Francesca Negro, altrettanto convinti dell’inattendibilità circa le dichiarazioni della ragazza, definite «in contrasto con le risultanze istruttorie». C’è attesa per le motivazioni della sentenza, per la deposizione delle quali il collegio si è dato 90 giorni.
L’avvocato Cechet ha osservato: «È una sentenza molto pesante, il collegio, oltre a riconoscere la credibilità assoluta della persona offesa, ha anche riconosciuto la gravità del reato. Attendiamo di leggere le motivazioni per conoscere le ragioni addotte dai giudici, anche rispetto al secondo capo di accusa. È stato un processo molto complicato e intenso, che porterà sicuramente a una sentenza molto corposa».
Gli avvocati Rizzatto e Negro hanno preannunciato il ricorso in appello: «Non ci aspettavamo questo esito, anche alla luce della richiesta di assoluzione da parte del pubblico ministero per il secondo capo di imputazione e pure sulla scorta del fatto che la prima contestazione si è basata unicamente sull’attendibilità della parte civile. Riteniamo che la pena disposta sia esagerata».—
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