A Trieste un Sì “tiepido” Ma Dipiazza bada al sodo ed esulta con i 5 Stelle
TRIESTE
Il Sì ha faticato? Non conta la differenza dei voti, ha comunque vinto. Anzi, hanno vinto gli italiani». Roberto Dipiazza esulta a metà pomeriggio, quando le previsioni vengono confermate. In una Trieste, però, in cui il No si arrampica fino al 46,5%. Il risultato finale in città mette insieme 36.477 favorevoli a un Parlamento con meno eletti e 31.749 contrari. Dipiazza, appunto, non si preoccupa dello scarto ridotto: «Valuterò quanto accaduto nelle sezioni, ma va bene così».
Il sindaco di Trieste insiste nel dire che sì, «era la cosa giusta da fare, perché quando è nata la Costituzione le Regioni non c’erano, mentre oggi hanno mille consiglieri e centinaia di assessori che rappresentano i territori attraverso i governatori». E quindi, «ci sono garanzie che nessuno verrà dimenticato». Sorrisi anche in casa 5 Stelle. «Ha vinto la volontà dei cittadini di avere un Parlamento più efficiente e veloce – commenta Paolo Menis –. Il Sì ha faticato? Si è sentito il falso problema di una rappresentatività ridotta. Ricordo che nel collegio per la Camera del 2018 si confrontarono Renzo Tondo e Debora Serracchiani. A contare non è la carta d’identità, ma solo la capacità di fare le cose, come ha dimostrato Stefano Patuanelli che ha risolto la vicenda Ferriera dopo 20 anni di tentativi a vuoto».
Sono state settimane di virate, dribbling, ambiguità su una questione che ha diviso, e pure imbarazzato, i partiti. Ma c’è stata anche la posizione netta di Pierpaolo Roberti, assessore regionale triestino che non ha temuto di dirsi per il No e di smarcarsi dalla linea di Matteo Salvini, quella della coerenza rispetto al voto in aula dei gruppi parlamentari della Lega. E ci sono state anche le parole di Massimiliano Fedriga, il presidente della Regione che ha a sua volta preso la direzione del No. Il vicesindaco Paolo Polidori prova a destreggiarsi tra il Sì di Salvini e il No degli esponenti locali. Un No, osserva, «che ha avuto numeri molto importanti in città, in qualche sezione è stato perfino vincente. Un segnale che l’antipolitica non ha avuto il successo che pensava di poter ottenere alla vigilia». E adesso? «La Lega ha detto Sì, e ha agito di conseguenza, nel momento in cui si era aperta una prospettiva di vera riforma in senso federale del Senato, in modo da dare una concreta rappresentanza alla Regione. Il contesto è poi mutato, ma alla fine dei conti mi pare che la vicenda non porterà a nulla. Anzi, temo che consentirà da un lato alle segreterie di controllare gli eletti, dall’altro alla maggioranza a Roma di adagiarsi su questa presunta vittoria, ma senza avanzare sulla strada della semplificazione e del cambiamento».
Il vicesindaco si concentra ora sulla legge elettorale: «Servirà un modello che consenta all’elettore di individuare il rappresentante a Roma. Altrimenti resteremo a una dimostrazione muscolare di facciata senza vantaggio alcuno per il sistema». Quanto al voto di Trieste, «evidentemente il nostro è un elettorato più maturo e informato».
Sull’altro fronte Laura Famulari, segretaria del Pd, pensa alla questione delle minoranze: «Credo che il rischio di non vederle più rappresentate in Parlamento abbia spinto più di qualcuno, a centrosinistra, ma anche in altre aree, a propendere per il No. In assenza di una legge elettorale che garantisca quella presenza, si è così cercato di evitare fino all’ultimo la riduzione degli eletti. Non mi sorprende – prosegue Famulari – in un territorio con lingue, confini e storia così particolari come il nostro». Una sconfitta di Fedriga che ha optato per il No? «In un certo modo sì, viste le dichiarazioni dei giorni scorsi».—
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