A Trieste torna la transumanza: dove c’erano le trincee adesso passano le pecore

CEROGLIE NELL’ERMADA. L’appuntamento è alle otto, e loro sono già pronte nell’ovile. Ferme, frementi, pronte al via. Il cancello si apre e si parte. «Quàdrupe/dàntepu/trèmsoni/tùquatit/ungula/campum». Il metrico rombo virgiliano (“col rumore di quattro zampe lo zoccolo percuote il soffice campo») che l’austero professor Egone Klogic Sabladosky insegnava nel microliceo di Cividale del Friuli con asburgico rigore non si adatta poi tanto alle miti pecore. Il loro passaggio è segnato invece dal tenue fruscio degli zoccoletti e dal profunmo di eucalipto delle foglie di sommaco che brevemente si fermano a brucare lungo il percorso. Ma guai a chi si ferma: il gregge è una sineddoche, la parte per il tutto, la pecora è una goccia nell’onda bianca che si snoda lungo il sentiero, nella compattezza la sua salvezza. Non ci sono lupi, ma l’istinto è innato e non si sgarra. Si parte dunque da Ceroglie nell’Ermada, piccolo e martoriato paesino distrutto prima dai cannoni (italiani) nella prima guerra e poi bruciato dai nazifascisti perché la gente aiutava i partigiani. E questa è l’unica e ultima transumanza che si effettua da queste parti. Un privilegio prendervi parte.
Forse senza saperlo (o forse anche sì, perché sono due giovani in gamba), fatto sta che due giovani sposi, Annamaria Antonic e Andrea Stoka, hanno dato vita, nel primo sabato post Barcolana, a una bellissima installazione artistica in Carso. Pochissimi i fortunati selezionati fra gli amici che vi hanno preso parte, tutti entusiasti dopo una giornata da incorniciare. Annamaria e Andrea hanno portato come ogni anno il loro gregge in transumanza da Ceroglie a Sagrado d’Isonzo, lungo ventiquattro chilometri di sentieri e tratturi, per traslocare le pecore nei verdi pascoli di Castelvecchio, dove resteranno per pochi giorni ancora. Fra poco più di un anno sarà giusto un secolo che su queste colline iniziava la Grande Guerra: nelle undici battaglie dell’Isonzo, fino alla rotta di Caporetto, vi morì mezzo milione di uomini; austriaci di qua (lato Trieste), italiani di là (lato Friuli). Divisi dal filo spinato, falciati dalle mitragliatrici, fatti a pezzi dalle artiglierie. E il Carso ridotto a una desertica landa, una brughiera lunare senza più un filo d’erba; solo morte. Ecco perché portare oggi le pecore, simboli di pace per eccellenza, attraverso una natura rifiorita dall’Ermada al san Michele è un segno di omaggio verso tutti quei caduti che va oltre qualunque discorso, santa messa e celebrazione con labari e gagliardetti. E anche chi ha preso parte alla transumanza ha inconsciamente avvertito il compito che aveva sulle spalle: non solo accompagnare questo fiume bianco belante e saltellante, ma portare questo messaggio fra boschi rinati e doline, casematte e trincee oggi tornate mute. La prova? In sette ore di camminata in tutto il gruppo mai una parola scomposta, mai un urlo né una protesta anche quando la fatica cominciava a farsi sentire.
Mancano pochi minuti alle otto quando Annamaria a Andrea, i due pastori, accolgono gli amici nel patio del loro agriturismo di Ceroglie. Mamma Sonja dà un primo assaggio della sua ospitalità sfornando crostate per accompagnare il caffè. Poi via verso la tenuta agricola, alle soglie di questo minuscolo paesino rinato dopo la devastazione dell’ultima guerra. Oggi le case sono ritornate in piedi e così anche l’agriturismo Antonic, con la sua azienda vicina. Lui, il vecchio Antonic, non c’è più: negli ultimi anni, dopo una vita passata a vendere macchinari per la lavorazione del vetro in Jugoslavia e nell’Europa dell’Est, dava una mano alla figlia Annamaria. Si procede lungo sentieri di immacolata bellezza, Annamaria davanti aiutata dal fido Don, il border collie della fattoria, instancabile guardiano, poi il gregge guidato da Mary, Antonia e Pino, due pecore e un caprone esperti. In coda Andrea e gli amci che portano alla cavezza anche Susy, Pina, Berto e Serena, i quattro asinelli della fattoria. Docili e simpatici. Sulle alture di Polazzo una pecorella più giovane comincia a perdere il passo, si ferma a brucare, bela disperata. Non resta che metterla sul groppone del buon Berto: Tiziana alla cavezza, Andrea la sorregge in equilibrio e via. E così questa improvvisata sacra famiglia arriva a Castelvecchio dove le pecore sverneranno pascolando fra i filari, mentre Mirella e Leo Terraneo, squisiti ospiti, rifocillano i pastori con mazzurino in umido e terrano.
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