A Trieste poveri in crescita: la rete sociale degli aiuti da sola non ce la fa più
Il Comune spenderà per il welfare 104 milioni a fronte dei 98 dello scorso anno. Non solo senzatetto, ma anche residenti dell’Ater. L’appello delle associazioni
Cresce a Trieste la richiesta di aiuto per riuscire a pranzare, per arrivare a fine mese, per comperare ciò che serve a mandare i figli a scuola, per pagare affitti e bollette. L’appello del vescovo Enrico Trevisi che, evidenziando le difficoltà finanziarie della Caritas, ha sottolineato la necessità di offerte e volontari, non resta isolato. Sulle tante realtà impegnate nel dare risposte alle persone povere, infatti, la pressione è sempre più forte.
Nel 2024 il Comune di Trieste spenderà per il sociale 104 milioni di euro, a fronte dei 98 dello scorso anno. «La spesa, anche per un aumento dei prezzi, è cresciuta per tutte le voci nell’ambito del sociale – indica l’assessore con delega alle Politiche sociali Massimo Tognolli – ma l’attenzione per chi fa fatica è sempre altissima».
I dati Istat fotografano come a Trieste oltre il 21 per cento delle domande di Isee risulti inferiore ai 6 mila euro. L’assessore testimonia anche di un numero sempre più significativo di senzatetto. «Fino a quattro anni se ne registravamo poco più di una cinquantina – costata Tognolli – mentre ora stiamo aggiungendo ulteriori 20 posti ai 193 già messi a disposizione per garantire una soluzione a chi non ha un tetto».
Ai 106.244 mila pasti preparati lo scorso anno dalla mensa della Caritas, vanno aggiunti gli otre 28 mila cucinati dai frati di Montuzza. Fuori dalla mensa di via Capitolina, a fianco del convento, ogni giorno all’ora di pranzo oltre una settantina di persone, in una composta e silenziosa fila, attende di ritirare una borsa con il pranzo. La domenica, invece, i frati aprono le porte della mensa e chi vuole può pranzare nel refettorio. «Consegniamo un pasto caldo, dal primo alla frutta o al dolce – testimonia frate Paolo Valier – e nella borsa mettiamo anche un pacco di pasta, di riso, della salsa o dello zucchero, insomma beni alimentari di prima necessità».
Tra i fruitori di quell’aiuto ci sono soprattutto uomini, alcuni senzatetto ma anche molti inquilini degli alloggi sociali comunali. L’accesso è libero, nessuno fa domande, nessuno chiede un documento. Chi ha fame, chi ha bisogno si mette in fila. Frate Paolo ammette che «non è facile riuscire ogni giorno a garantire il servizio, abbiamo dei dipendenti per la gestione della cucina e poi abbiamo la fortuna di avere dei volontari e di poter contare sulla generosità che i triestini, sia in forma di elargizione che di borse della spesa, non è mai mancata».
La Comunità di Sant’Egidio aiuta circa 2 mila famiglie, un migliaio con maggiore frequenza. «La pressione in termini di richieste è importante, c’è una povertà ormai consolidata – così il presidente della Comunità di Sant’Egidio Paolo Parisini – con una decina di famiglie in più ogni settimana e una richiesta di aiuto che cresce sia per i generi alimentari che per un supporto nel pagamento delle bollette. Quest’anno c’è una crescita importante di domande di aiuto per pagare l’affitto di alloggi Ater».
Un fenomeno denunciato anche da Francesco Slocovich, presidente delle Fondazioni benefiche Alberto e Kathleen Casali, dallo scorso maggio entrate nel terzo settore: «Le risorse che ogni anno mettevamo a disposizione non bastano più. Gli aiuti per il pagamento degli affitti arretrati Ater costituiscono l’80 per cento dei fondi che destiniamo agli interventi straordinari».
Ci sono famiglie che si rivolgono da cinque, dieci anni alle fondazioni Casali, «che non escono dallo stato di difficoltà – spiega ancora Slocovich – e a quanto è necessario per il pagamento delle locazioni arretrate, si aggiungono le spese legali che Ater mette in conto per recuperare il dovuto». Il terzo settore impone regole più stringenti nell’erogazione degli aiuti, «e questo – così Slocovich – ci imporrà purtroppo di limitare le disponibilità». —
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