A Trieste la commemorazione per il Giorno del ricordo, Fedriga: «No ai rigurgiti negazionisti»

TRIESTE. «Occorre mettere una barriera di dignità davanti a chi vuol negare i drammi della persecuzione titina al confine orientale»: per questo, e anche per un «rigurgito negazionista» essere «qui è fondamentale oggi».
Lo ha detto il governatore del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, a margine della cerimonia alla foiba di Basovizza svoltasi in occasione del Giorno del Ricordo (10 febbraio).
Celebrazione svoltasi senza la partecipazione di pubblico nel rispetto delle restrizioni dovute all’emergenza sanitaria.
Il programma a cura del Comune ha limitato quindi la partecipazione alle sole autorità e ai rappresentanti delle associazioni d’arma e dell’esodo con gli interventi del presidente della Lega nazionale Paolo Sardos Albertini, del sindaco Roberto Dipiazza e del presidente del Fvg Massimiliano Fedriga. A rappresentare lo Stato il prefetto di Trieste Valerio Valenti.
Una corona di fiori è stata depositata sul Monumento nazionale.
Quindi la preghiera degli Infoibati letta da messa dal vescovo di Trieste Giampaolo Crepaldi. Presenti anche la senatrice Tatjana Rojc e la deputata forzista Sandra Savino assieme al presidente del Consiglio regionale Piero Mauro Zanin (Fi). Schierati anche i rappresentanti di tutte le associazioni del mondo dell’esodo, del Comitato per i martiri delle foibe, della Lega nazionale, della Federazione grigioverde, degli Alpini e dei sodalizi d’arma con il presidente dell’Unione degli Istriani Massimiliano Lacota e il presidente dell’Anvgd Renzo Codarin.
Critico il discorso del sindaco di Trieste Roberto Dipiazza: «Sarà impossibile avere una memoria condivisa», ma «vale comunque continuare questo percorso di amore avviato». Lì, sul Carso, «ogni pietra ha un lamento», poiché «per mano dei comunisti titini, con la connivenza dei comunisti italiani, sulle nostre terre si è consumato l'olocausto delle foibe» e «la tragedia dell'esodo».
Il sindaco del capoluogo ha ricordato che, «a guerra finita», si è scatenata «una furia cieca nei confronti di indifesi, inermi, vinti, di coloro che rappresentavano un ostacolo alla ideologia comunista». Poi, dal 30 marzo 2004, quando «il Parlamento italiano, con legge proposta dall'on. Roberto Menia, ha istituito il Giorno del Ricordo», la verità «ha iniziato a squarciare il muro di un silenzio complice di stati, governi, politici».
«Non si tratta di chiedere perdono, ma di riconoscere quanto accaduto chiedendo scusa e con una preghiera rendere omaggio ai nostri martiri». Poi, la critica allo scrittore Boris Pahor che, «riferendosi al giorno del ricordo ancora afferma: “È tutto una balla, non era vero niente”». Insomma, un percorso «non ancora terminato» ma che potrà «porre rimedio ad una delle vergogne dello stato italiano».
E da Roma è intervenuto anche il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella: «Tanto sangue innocente bagnò quelle terre. L’orrore delle foibe colpisce le nostre coscienze. Il dolore, che provocò e accompagnò l’esodo delle comunità italiane giuliano-dalmate e istriane, tardò ad essere fatto proprio dalla coscienza della Repubblica.
Prezioso è stato il contributo delle associazioni degli esuli per riportare alla luce vicende storiche oscurate o dimenticate, e contribuire così a quella ricostruzione della memoria che resta condizione per affermare pienamente i valori di libertà, democrazia, pace. Le sofferenze patite non possono essere negate. Il futuro è affidato alla capacità di evitare che il dolore si trasformi in risentimento e questo in odio, tale da impedire alle nuove generazioni di ricostruire una convivenza fatta di rispetto reciproco e di collaborazione».
Mattarella ha aggiunto: «Ogni comunità custodisce la memoria delle proprie esperienze più strazianti e le proprie ragioni storiche. È dal riconoscimento reciproco che riparte il dialogo e l’amicizia, tra le persone e le culture.
Si tratta di valori che abbiamo voluto riaffermare con il Presidente della Repubblica di Slovenia, Borut Pahor, che ringrazio ancora per l’incontro e le iniziative del luglio scorso, in occasione della firma del protocollo d’intesa per la restituzione del Narodni Dom alla minoranza linguistica slovena in Italia. Da questi valori discendono progetti altamente apprezzabili come la scelta di fare di Gorizia e Nova Gorica, congiuntamente, capitale della cultura europea 2025. Atti di alto significato simbolico che dimostrano una volta di più come la integrazione di italiani, sloveni e croati nell’Unione Europea abbia aperto alle nostre nazioni orizzonti di solidarietà, amicizia, collaborazione e sviluppo.
Il passato non si cancella. Ma è doveroso assicurare ai giovani di queste terre il diritto a un avvenire comune di pace e di prosperità. La ferma determinazione di Slovenia, Croazia e Italia di realizzare una collaborazione sempre più intensa nelle zone di confine costituisce un esempio di come la consapevolezza della ricchezza della diversità delle nostre culture e identità sia determinante per superare per sempre le pagine più tragiche del passato e aprire la strada a un futuro condiviso».
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