A Trieste la coca dei clan: parola di Roberto Saviano
PORDENONE. Il programma ufficiale lo annuncia In maniera molto discreta. Eppure, questa sera alle 21 non si troverà più un biglietto, un pass per l'incontro più atteso di Pordenonelegge. Quello con Roberto Saviano, alle 21 a Palazzo Montereale Mantica. Lo scrittore di "Gomorra", che vive da anni sotto scorta, dialogherà con Stefano Piedimonte, l'autore di due romanzi che raccontano la camorra con urticante ironia (“Nel nome dello zio” e “Voglio solo ammazzarti”, appena uscito, entrambi pubblicati da Guanda). E proprio "Comicamorra" si intitola la serata.
Roberto Saviano, prima di mettersi in viaggio per raggiungere Pordenone, ha risposto ad alcune domande.
I libri di Stefano Piedimonte l'hanno conquistata alla prima lettura. Perché?
«Stefano Piedimonte racconta la camorra nei suoi aspetti più grotteschi, la ridicolizza - dice Roberto Saviano -. Lacera con le sue parole quel vestito di onnipotenza che in tanti anni di soprusi e prevaricazioni si è ricamata addosso. Questo può essere un modo per raccontare la criminalità organizzata e può servire a intaccare il consenso di cui gode».
Ma si può ridere della camorra? Non si rischia di renderla più umana?
«Si deve rendere umana la camorra: i camorristi non sono imbattibili, sono uomini con vizi, tic e le loro ridicole abitudini. Questo va raccontato, per smontare l’aura di invincibilità e di epicità di cui amano circondarsi Non si può ridere della camorra come fenomeno. Non si può e non si deve ridere di nulla che abbia a che fare con il potere della camorra. Non si può ridere degli strumenti che usa per comunicare, non si può ridere di come la camorra abbia condizionato il modo di pensare e di agire anche di chi camorrista non è. In alcuni territori non si accetta che ti si tagli la strada con l’auto o si litiga per uno sguardo male interpretato ma si lavora sottopagati, si firmano buste paga e si riceve metà del denaro promesso e dichiarato. Contraddizioni di un territorio che deve abituarsi alla legalità in ogni ambito. Di questo no, no si può e non si deve ridere. Ma l’ironia con cui si smonta la loro quotidianità è necessaria».
In Italia, e non solo, c'è ancora il pregiudizio: mafia uguale Sud? Da tempo la malavita organizzata è fortissima anche al Nord?
«Il pregiudizio naturalmente c’è. I pregiudizi sono quanto di più difficile esista da estirpare. Eppure, dai legami dell’ex tesoriere della Lega Francesco Belsito con esponenti della ’ndrangheta e dal numero di operazioni delle forze dell’ordine (Crimine-Infinito, For a King, Serpe, Due Torri Connection, per citarne solo alcune) è chiaro come le organizzazioni criminali siano ormai radicate al Nord. In un Nord dove di criminalità si continua a parlare troppo poco, dove si continua a essere reticenti nel collaborare, sospettosi verso chi racconta. L’attenzione è ancora pericolosamente bassa, ecco cosa rende il Nord appetibile. Sulle colonne del Piccolo mi è capitato di leggere ciò che al Sud è informazione quotidiana: avete scritto che la Camorra è arrivata e fa affari anche in Friuli Venezia Giulia».
In che modo?
«Gli scissionisti da anni provano a tenere sotto scacco le aree portuali di Trieste e Monfalcone. Il porto di Trieste è un “crocevia strategico” per il traffico di stupefacenti, soprattutto hashish ed eroina. L’operazione Calighér ha svelato come l’hashish arrivasse a Trieste dalla Campania attraverso uomini legati al boss scissionista Raffaele Amato. La coca arrivava attraverso il clan dai tre nomi, il clan Gallo-Limelli-Vangone di Torre Annunziata. Ma a Trieste arrivano anche coca e hashish dal Sudamerica: a gestire questo traffico è l’Alleanza di Secondigliano. Le mani della camorra sono ormai in Friuli Venezia Giulia, in un territorio in cui i clan non ammazzano e quindi tutto questo non fa notizia».
L'altro giorno hanno scoperto rifiuti tossici in Campania. Ma allora "Gomorra" non è solo un romanzo?
«Ma c’è ancora qualcuno che pensa che sia solo un romanzo di fiction? Beato lui… Ci troviamo invece al cospetto di una banda di feroci criminali che ha usurpato nome e onore agli abitanti di Casal di Principe che oggi scoprono che il clan non ha avuto alcuno scrupolo ad avvelenare la sua stessa terra. Oggi quella parte di cittadini di Casal di Principe che con l'omertà ha fatto da schermo alla camorra peggiore, deve capire che non bisogna aver paura, ma denunciare, sempre. Perché questi animali non hanno scrupoli né riconoscenza per il silenzio. Non è mai troppo tardi per dire che si è stati dalla parte sbagliata».
Che cosa sta cambiando nel mondo della mafia, della camorra?
«Intanto che con la crisi economica sono le uniche “aziende” a non avere i conti in rosso, a non chiudere i battenti. E poi questa comunicazione politica, che con le sue continue aggressioni alla magistratura, pare in certi segmenti sovrapporsi e quasi legittimare ciò che i boss di camorra affermano da sempre, ovvero che sono perseguitati e ingiustamente condannati, loro sarebbero solo semplici imprenditori».
Da troppo tempo lei è costretto a vivere sotto scorta. Non avrebbe voglia di cambiare vita?
«Certo, mi piacerebbe tornare a essere un uomo libero. Si sta celebrando un processo importante a Napoli, un processo contro i boss casalesi che mi avevano minacciato. L'esito di quel processo forse potrebbe mutare la mia condizione. Me lo ripeto anche se forse non sarà così, ma ho bisogno di sperare che questa vita avrà una scadenza».
Questa vita da recluso ha qualche vantaggio: può leggere quanto vuole. E poi?
«Leggevo molto anche prima di essere sotto scorta. Non credo sia una vita, questa, che possa portare vantaggi. Ecco, forse l’unico vantaggio, se posso definirlo tale, è che scopri quanto sei solo. Non ci sono molte persone realmente disposte a sopportare una vita fatta di reclusione e di stati d’ansia, ma questo, se non sei in una condizione di criticità vera, magari puoi vivere un’intera vita senza scoprirlo mai. Immagino però che non sia annoverabile tra i vantaggi di una vita sotto scorta».
Sta già pensando a un nuovo libro?
«Io penso sempre a un nuovo libro, a nuovi libri. Ho sempre progetti, sono il carburante della mia vita».
La rivedremo in un programma televisivo?
«Per ora non lo so ancora. Ma la tv è importante. È uno strumento per parlare a molti. Per dare con il racconto centralità a storie considerate marginali. E anche per dare fastidio a chi mi detesta…».
@alemezlo
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