A Trieste i feretri di Franz Ferdinando e di Sophie sfilano per 1800 passi

Da “Le mie memorie” di Carlo Spagnul, triestino: «Alla sagra di S. Giacomo saranno state le 10 quando comparve il sergente dei gendarmi a dare l'ordine di cessare il ballo, di sgombrare la piazza e issare le bandiere a mezz'asta. Tutti rimanemmo stupiti... Ci disse: 'Voi andate a riposare, perché domani alle 7 dovete partire e presentarvi al vostro comando militare'. Gli domandammo il perché e rispose: 'Questa mattina a Sarajevo nella Bosnia Sua Altezza il Principe ereditario e la sua consorte sono stati barbaramente assassinati'. Gli facemmo notare che avevamo ancora 10 giorni di licenza. 'Sì – rispose – ma in questo caso la licenza viene annullata e i posti di gendarmeria hanno l'ordine di far raggiungere la propria arma a tutti i soldati che si trovano in permesso. Questa disgrazia la dobbiamo soffrire tutti indistintamente».
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Fino alla primavera del '14 i cartelloni dei teatri e gli investimenti in borsa non annunciano temporali. Trieste, il porto dell'impero, sforna una prima al giorno, con Ibsen e Schnitzler che vanno in scena con anticipo sui teatri concorrenti. La città è un sismografo di arte, commercio e geopolitica, amplifica le note di Smetana e le fibrillazioni guerresche dei Balcani, i prezzi delle granaglie ad Alessandria d'Egitto e i sogni libertari degli irredentisti. Al “Verdi” si esegue uno Schoenberg per archi soli che pare uno straziante preludio del massacro a venire, ma intanto nelle osterie ci si sfida a suon di settenari in lingua yiddish o si rileggono in dialetto le opere di Verdi. Da Serbia e Bulgaria arrivano notizie di stragi, ma sono interferenze lontane: il porto raddoppia e si inaugura la nuova monumentale pescheria, mentre impazzano le canzoni di Cechelin e il ritmo scatenato della czarda.
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L'impresario teatrale triestino Adolfo Leghissa: «Novità, sorpresa, sbalordimento, curiosità per la generazione di quel tempo, la quale in fondo era ottimista, sperava che ogni questione potesse venir risolta a tavolino, com'era uso da quasi mezzo secolo. La guerra! Ma chi ci aveva pensato? Invece gli avvenimenti precipitavano. Verso la fine di luglio le prime fucilate. La guerra! Ne avevo qualche idea attraverso le letture ma, come vidi in seguito, essa era ben lontana dalle realtà. Ben altro dovevo apprendere nella mia pur modesta parte di attore-spettatore durante l'immane tragedia».
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“Dove va tutta questa gente” chiede il decrepito Franz Josef vedendo folle di coscritti per le strade di Vienna. “Maestà, è la guerra” gli viene risposto. “Prima che le foglie cadano la guerra sarà finita” fa eco l'imperatore di Germania. Ma è l'Europa tutta a buttarsi nel baratro in stato di perfetto sonnambulismo.
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Sembrava di rileggere l'inizio dell'ultimo disastro bosniaco. Anche lì, in tanti erano stati colti di sorpresa, perché in tanti avevano dimenticato cosa fosse la guerra. Intorno a Sarajevo si scavavano trincee, ma nei caffè gli intellettuali filosofeggiavano dicendo: non accadrà. L'Italia guardava in tv le immagini della crollo, e tutto sembrava lontano e privo di rischi di contagio. A. nzi, quelle notizie ci confortavano, dimostravano la nostra distanza dalla barbarie. Nel '92 come nel '14, la macchina del male si era messa in moto senza incontrare resistenze grazie all'incredulità dei sonnambuli.
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Norman Angell, alla vigilia del '14, pontifica che la guerra è impossibile perché troppo forte è l'interdipendenza economica delle nazioni, e il suo libro vende milioni di copie.
La smentita arriva solo un anno dopo, e oggi le cose non paiono assai diverse. Un terzo conflitto globale potrebbe deflagrare per motivi egualmente prevedibili ed egualmente sottovalutati.
Ucraina, Egitto, Balcani, Palestina: i focolai abbondano e sono spesso, guarda caso, vecchie cicatrici del 1914.
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Mia nonna raccontava che la partenza del '14 era stata un tripudio di fiori e canti militari. Incoscienza, ma anche voglia di un ribaltone che spazzasse via il vecchiume per instaurare un ordine nuovo e migliore. Si credeva in una guerra breve e risolutiva. La guerra che avrebbe cancellato tutte le guerre. Era lì, diceva la mia vecchia, la differenza col secondo disastro mondiale. Nel '14 nulla era stato annunciato e nulla era davvero inevitabile. Nel '39 tutto era scritto in anticipo e tutti sapevano a cosa si andava incontro, perché la memoria della prima guerra bruciava ancora.
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Quel 2 luglio del 1914 i feretri arrivano a Trieste direttamente da Sarajevo, ed è lì, fra le 7.45 e le 9.50, che inizia il conto alla rovescia per il disastro. Ho rifatto a piedi quella strada, dallo sbarco sulle Rive alla stazione, e ne ho contato i passi: milleottocento. La fine del mondo si era consumata in 1800 passi. Per la precisione 1804. Rileggo quelle note: i feretri scendono dalla corazzata “Viribus Unitis” ancorata in rada, e sono traghettati a terra. Il mare pullula di navi e soldati schierati sulla tolda. Pennacchi di fumo nero, cannonate a salve. Le bare sono deposte su carri neri tirati da cavalli neri.
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Fa caldo, la folla fa ressa per vedere. 199, 200, 201. Folla immensa, rintocchi a morto, opprimente silenzio. 223, 224, 225, Capo di Piazza, statua di Carlo imperatore. Sono già passati un drappello a cavallo, due compagnie di soldati e sei carri pieni di fiori con tiro a due. Case listate a lutto, lampioni col cappuccio nero...
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Ormai era chiaro, dovevo partire anch'io. Fare un viaggio nella storia ma anche alle radici di me stesso. Ero figlio di una città rimasta austriaca cinque secoli, fino al 1918; italiano “ciapà col s'ciopo”, come i trentini, e tanti istriani e dalmati. Mio padre era stato ufficiale nell'esercito del Tricolore e avevo - per parte di madre - un illustre, italianissimo zio irredentista. Ma mio nonno aveva combattuto con l'Austria, per il suo imperatore, e mia nonna, senza muoversi da Trieste, era passata sotto sei diverse bandiere: Austria, Regno d'Italia, Germania, Jugoslavia, Governo angloamericano, Repubblica italiana. Ero, come dire, complicato. Ma proprio quel pedigree mi avrebbe impedito di fare un viaggio di parte tra i belligeranti in quella no man's land interminabile.
(1 - Continua)
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