A Trieste 850 profughi, 87 di loro dormono per strada

Identificati, hanno pasti e docce ma attendono che si liberino sistemazioni nelle strutture. L'assessore Famulari: «Siamo saturi»
Campo Marzio: alcuni dei profughi afghani sistemati a gennaio dal Comune alla Sacra Osteria
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TRIESTE. I richiedenti asilo a Trieste, città dove come in tutto il Fvg il problema non sono gli arrivi via mare ma quelli lungo la rotta balcanica, non sono mai stati così numerosi. Dalle 202 persone ospitate al di fuori del programma nazionale Sprar registrate nel dicembre 2013, si è passati alle 638 del 5 giugno scorso, con un aumento del 316%.

E benché la città da tempo abbia messo in piedi un modello di accoglienza diffusa nell’ambito di un sistema “extra Sprar” gestito grazie a una convenzione siglata nel 2013 fra Comune e Prefettura, quello che si presenta ora è un problema inedito per dimensioni.

«Siamo saturi», dice l’assessore comunale al Welfare Laura Famulari. Ma soprattutto, a ieri erano 87 i profughi costretti a dormire all’addiaccio. Le strutture stanno accogliendo 757 persone (638 extra Sprar, 119 Sprar). Per altre 87 non c’è un letto. «Sono tutte persone identificate: possono fruire delle docce pubbliche comunali di via Veronese e per mangiare ci sono i pasti forniti dalla mensa Caritas».

Vengono sottoposti alle prime visite mediche e ricevono assistenza dall’ufficio dell’Ics (Consorzio italiano di solidarietà) per l’iter di richiesta di protezione. Ma niente letti. Se non, in molti casi, qualche giaciglio di fortuna nei pressi del Silos. Lo scorso inverno picchi emergenziali erano stati risolti utilizzando per esempio palestre. Ora il problema del freddo non c’è.

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E i profughi attendono che si liberi qualche posto: «Cerchiamo di farli ruotare» nelle strutture, dice Famulari, così che non trascorrano troppe notti consecutive all’aperto. Situazioni simili si protraggono in genere «per non oltre un paio di settimane». Ma da febbraio a maggio «si evidenzia un aumento sensibile e preoccupante dei richiedenti che rimangono, in una prima fase, privi di immediata accoglienza». Così si legge nella relazione che Famulari ha inviato a Roma, facendo il punto della situazione. Da qui anche la richiesta di spostare altrove una novantina di persone.

Peraltro, a oggi richiedenti asilo e beneficiari di protezione internazionale o umanitaria si attestano attorno allo 0,32% della popolazione. Anche questa è una cifra contenuta nel documento, nel quale l’«area critica» delle persone senza posto viene rilevata nell’ambito di un’accoglienza diffusa effettuata all’interno di un sistema in convenzione con la Prefettura che viene proposto a Roma, per tutta Italia, accanto allo Sprar, come «possibile modello di intervento».

Anche nella gestione del sistema extra-Sprar, Comune e enti gestori Sprar (Ics e Caritas) hanno optato per quanto possibile per appartamenti di piccole dimensioni presi in locazione da Ics in tutta la città, accanto a strutture di accoglienza Ics e Caritas «comunque di piccole dimensioni (in media 20 posti, in ogni caso sotto i 50)».

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Una soluzione che consente di evitare concentrazioni deleterie e favorisce il contatto fra profughi e residenti («pressoché totale nel territorio di Trieste - così nel documento - l’assenza di problematiche di ordine pubblico connesse» ai richiedenti asilo). «A Trieste - dice Famulari - abbiamo creato un sistema parallelo allo Sprar, fortemente integrato e con gli stessi criteri e standard di servizi, nonché con gli stessi enti attuatori - Ics e Caritas, che hanno esperienza decennale - condividendo un patrimonio di professionalità. Ed è un modello che sta funzionando». Anche se a oggi, nonostante questa programmazione, mancano posti.

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