A Monfalcone scatta il piano antiterrorismo
MONFALCONE L’ultimo bagno di sangue nel cuore di Gulshan, uno tra i quartieri più protetti della capitale del Bangladesh, perpetrato da un nucleo di fanatici terroristi probabilmente legati allo Stato Islamico apre la riflessione sulla sicurezza in una città di 28.258 abitanti, dove la comunità musulmana conta oltre 2.500 persone, per la maggior parte giovani e uomini: Monfalcone.
Potrebbe, tra la nutrita compagine bengalese - che a fine 2015 annoverava 1.945 residenti - celarsi una mela marcia, in grado di compiere anche qui una strage di occidentali? «Se ragioniamo su un piano astrattamente statistico potrebbe darsi - replica il questore di Gorizia, Lorenzo Pillinini -. Ma cosa ci dice, invece, che la situazione è sotto controllo? Le verifiche continue compiute delle forze dell’ordine e, soprattutto, il dialogo con la stessa comunità bengalese. La condivisione è fondamentale, guai a isolare, emarginando le persone. Perché se tagli fuori, allora legittimi a fare di tutto e anche peggio».
La regia non può essere solo delle forze di polizia, nell’Isontino. In questo ragionamento si devono necessariamente inserire le istituzioni, e in primis i Comuni, oltre alle strutture sanitarie. «Per quanto invece ci compete - sottolinea il questore - la strategia nostra è mantenere tutti i canali di comunicazione con la comunità musulmana e la presenza rafforzata delle forze dell’ordine, in termini di ulteriori volanti, sul territorio. Cosa che ho avviato fin dal momento del mio insediamento. Abbiamo un nuovo Piano antiterrorismo provinciale, che per ovvi motivi è secretato, messo a punto in coordinamento con la Prefettura, che si applica anche e soprattutto a Monfalcone. Poiché non si tratta di un agglomerato urbano normale, come potrebbe essere, per capirci, Capriva».
«È un comune - precisa - che per sua stessa identità va attenzionato: ci sono i cantierini, i flussi migratori, le dinamiche lavorative peculiari. Tutti aspetti da monitorare».
Pillinini è rimasto personalmente molto colpito dalla strage di sei giorni fa. Ha conosciuto Pietro Cesaratto, responsabile dell’ufficio import-export di Bernardi che, assieme al proprietario Riccardo Di Tommaso, aveva scelto Cristian Rossi, una delle vittime, per coordinare l’ufficio di collegamento a Dacca, con una decina di dipendenti.
«Mi raccontava che c’era un grande rispetto reciproco e che la comunità italiana era molto stimata e assolutamente gradita. Quest’azione, la volontà cioè di punire i connazionali, ha stupito moltissimo». «Ma - aggiunge subito - la cosa peggiore che si può commettere nel frangente è quella di fare di tutt’un erba un fascio. Pensare che tutti i bengalesi siano terroristi, mentre la comunità presente qui è molto ben inserita nel mondo del lavoro. Il rapporto c’è ed è buono, cerchiamo di mantenerlo». Il principale datore resta il cantiere navale, con le ditte esterne impiegate da Fincantieri. La religione seguita, quella islamica sunnita.
«I rapporti tra la comunità bengalese e la Digos sono di complementarità - spiega il questore Pillinini - gli interessi sono reciproci a far emergere gli elementi radicalizzati, che non riescono a integrarsi ai nostri valori e al nostro sistema. Il confronto dunque c’è ed è costante». Anche con personale dedicato. «E va esteso ad altre etnie - prosegue Pillini -, come quella marocchina, tunisina o macedone, di fede musulmana, che pure ha una fitta rappresentanza a Monfalcone». Città dove una persona su cinque è straniera.
Non si tratta, comunque, di favorire le delazioni, il parallelo è piuttosto con «il ruolo rivestito a suo tempo nelle fabbriche dai sindacati, che riuscirono a far venire a galla, denunciandoli, i soggetti legati alle Brigate Rosse».
«Trattandosi di persone residenti - conclude Pillinini - ogni sforzo possibile deve essere fatto per stabilire le regole del vivere civile, cioè le leggi italiane di uno Stato laico, che assicurano a tutti un’ordinata e coesa composizione sociale. Ribadisco: guai a uscire da questi tracciati, perché allora presto le moschee diventano scantinati in cui l’estremismo ha gioco facile».
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