A Dragogna: «Qui di profughi nemmeno l’ombra»

Fra gli abitanti dei paesi: «Barriera, un’assurdità». E vicino a Sicciole il “muro” si ferma: è area ancora contesa tra i due Stati
Il filo spinato al confine di Dragogna
Il filo spinato al confine di Dragogna

INVIATO A DRAGOGNA. Se ne sta lì, fermo, fiero nella sua mimetica, la jeep qualche metro più avanti. È un sottufficiale dell’Esercito della Slovenia. È a un metro dal filo spinato “steso” lungo il fiume Dragogna al confine con la Croazia. Sembra guardi nel vuoto. Istruito a obbedire, non parla. Guarda.

Una sorta di tenente Drogo dei Balcani, dislocato nel suo Deserto dei tartari ad aspettare l’orda dei disarmati che non arriva. Le mani sul cinturone da cui pende la pistola lucida e pulitissima. Un cappello di nebbia aleggia sul fiume. L’angoscia sale al collo. Ma dove siamo? Chi deve fermare quel filo spinato? Dove sono i nemici? Lui, il militare, non è uso a farsi domande, lui è uso a obbedire e così fa anche oggi, ligio alla sua consegna.

Qualche chilometro più a Nord, un cane lancia il suo ululato al nulla. Dal camino che fuma si capisce che la casa è abitata. Esce Emilia, 20 anni, un po’ spaurita, felpa azzurra e mani di chi sa già che cosa significa lavorare i campi. Di cognome fa Deluk e gestisce una specie di agriturismo con i suoi genitori. «Il filo spinato? Assurdo». Guarda verso il fiume e indica che oltre la rete metallica ci sono i campi dei suoi genitori, un po’ in Slovenia, un po’ in Croazia.

La Slovenia: «Gli arrivi non cessano, il filo spinato resta»
Il filo spinato al confine tra Slovenia e Croazia

«Non c’è mai stato un problema, ora ci hanno lasciato dei buchi per passare». E per quei buchi non potrebbero anche passare i migranti? «Certo, ma qui di migranti non c’è nemmeno l’ombra».

È un filo che dà fastidio solo a vederlo. Lo attraversiamo approfittando di un varco in corrispondenza di un piccolo guado del fiume che oggi non è che un ruscello. Insomma sconfiniamo clandestinamente quasi per dispetto, in sfregio a un “muro” che non appartiene né a queste terre, né a questa gente. Un cane ci passa accanto senza calcolare la nostra presenza. Tutto attorno vigneti e “pugni” di olivi per quel che la valle chiusa permette. Come un flusso di profughi possa passare da queste parti resta un mistero che i “maestri” della strategia militare dovrebbero spiegarci.

Saliamo sul colle sopra la valle della Dragogna e violiamo il silenzio di Glem, accovacciata sul cocuzzolo che guarda verso Sicciole. Il mare si confonde con la nebbia. Il filo spinato si sente anche qua. È una ferita invasiva. «Siamo un Paese difeso», spiega la signora Majda Salihovi„, 44 anni, mentre stende i panni ad asciugare in cortile vicino a una fontana di pietra.

«Che colpa hanno i migranti - continua - sono povera gente e poi quel filo spinato è contro il turismo, contro tutto, neanche durante la guerra è successa una cosa simile e poi noi non abbiamo paura dei profughi». Più deciso il marito Desad, 49 anni. Sigaretta in bocca ribadisce che «i profughi non hanno colpe. Liberino la Siria - dice - e poi li facciano tornare nelle loro case il fatto e che è tutta una montatura politica».

Ancora più su c’è Labor, paesino di refosco e sudore come dice del resto anche il toponimo latino. Qui passano due bus al giorno, il resto è silenzio rotto solo dal transito di qualche trattore ansimante. La gente ride del filo spinato: sono pazzi, esclama e si chiude in casa, alcaldo del focolare e di quei riti contadini che connotano l’essere istriano, non importa se vivi in Slovenia o Croazia, non importa se c’è quel maledetto filo spinato.

Il lungo serpente metallico si interrompe sulla strada della cosiddetta “terra di nessuno” sul confine sloveno-croato di Dragogna. Più in là, ossia verso il Sicciole e il mare i genieri sloveni non si sono spinti. Quella infatti è ancora terra contesa tra Slovenia e Croazia davanti alla Corte arbitrale internazionale dell’Aja. Eppoi chi attraverserebbe le saline? Nell’osteria del paese già di buon mattino i vecchi giocano a carte. Tra una scopa e un settebello volano bestemmie. Ma non sono quelle di ogni giorno, divenute quasi intercalare di un idioma in codice che non pensa al Dio che offende, queste invece sono mirate contro quel dio della ragion di Stato che proprio non capiscono perché si ostini a tracciare confini, limiti, muri qui in Istria.

«È una follia», è il commento collettivo di questo luogo dove l’astemio è bandito. «Sono pazzi - dice un vecchio mentre fa la sua giocata - tra un poco stenderanno il filo spinato anche sul mare».

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