«A caccia di nuove opportunità siamo globali come il mare»

Michela Cattaruzza, ad di Ocean srl: «Ho introdotto il welfare aziendale perché l’impresa prende ma deve dare. Per crescere occorre delegare» 
Silvano Trieste 2019-11-12 Top 500
Silvano Trieste 2019-11-12 Top 500

TRIESTE «Come s’impara a timonare un’azienda? Quando arrivai, dopo un’esperienza in America, mio padre mi portò nel suo ufficio: “Sta zita e ’scolta”». Sorride, Michela Cattaruzza, a parlare del papà. Perché in realtà il capitano Luigi, che fondò dopo la Seconda guerra mondiale l’azienda di famiglia, «è stato un padre molto lungimirante: “fame”, fammelo, diceva quando gli portavo nuove idee. La teoria era che se vuoi imparare a nuotare devi esser buttato a mare». Dal 2014 l’imprenditrice guida Ocean srl, holding operativa del gruppo di famiglia (15 società, 500 dipendenti) di base a Trieste: oltre 50 milioni di fatturato, società in Slovenia, Montenegro, Kazakistan, circa 50 rimorchiatori, 7 chiatte, 5 bunker barge sparsi fra Mediterraneo e Nord Europa.

Come siete cresciuti?

L’accelerazione partì nel 2005. Eravamo in Saipem, si parlava del Kazakistan, un sito sul Caspio: non sapevano dove alloggiare i tecnici. Perché non fate una chiatta? dicemmo. Portateci il progetto, risposero. L’abbiamo costruita in 9 mesi: 270 posti letto.

I fattori di continuità e di novità su cui si è mossa?

Ho conservato la tradizione che è parte del nostro business, così come la globalizzazione: il mare è globale. La novità? Ho introdotto il welfare aziendale: dai bonus nascita agli abbonamenti a teatro per i dipendenti, per esempio. L’azienda prende ma deve dare, per far stare bene persone e impresa stessa: ci credo molto.

I progetti futuri?

Stiamo cercando di investire per aprire altre aziende all’estero: vanno trovate le migliori opportunità. Con mio fratello Alberto, che guida tutto il rimorchio portuale, ne parliamo ogni giorno. Ocean è azienda di famiglia, da tutta la famiglia sono condivise le scelte strategiche. Per consolidare la posizione in Kazakistan di recente abbiamo avviato un progetto con Finest.

E il management?

Se vuoi che l’azienda cresca devi delegare. E avere persone di livello molto alto, come abbiamo, è molto importante. Anche perché io a una certa ora corro a casa da marito e figli... Nel 2005, grazie alla legge Bertossi, arrivò il “temporary manager”: ci ristrutturò l’azienda, contraemmo il primo grande debito per crescere.

Il porto di Trieste vive un momento felice.

Beato, diciamo. Cito uno studio Aiom: il porto nel 2018 ha prodotto 2,8 miliardi di fatturato, ha inciso per il 9% sul Pil locale e per il 12% sull’occupazione. Siamo consci di ciò che abbiamo? Stiamo diventando un brand conosciuto. Le banchine le stiamo realizzando, dobbiamo uscire dal nanismo con strutture e retrostrutture. E attivare il porto franco per creare sinergie fra logistica e industria. Gli investitori dall’estero - come gli ungheresi - ci sono ma si attendono due cose: tempi certi e normative affidabili. Dobbiamo avere un governo che ci supporti.

E l’arrivo della Cina?

Tanti ne sono spaventati, non capisco: la situazione del Pireo non è paragonabile. E poi noi abbiamo i collegamenti a terra. Se arrivano investitori, con regole valide per tutti - la normativa è quella italiana - sarà un bene per l’intera città. —
 

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