A Belgrado va in pensione la storica stazione centrale

BELGRADO. Vi arrivavano treni di lusso come l’Orient Express, convogli da tutta la Jugoslavia, espressi internazionali per Budapest, Monaco, Trieste e Vienna, sbuffanti locomotive, le 661 “Kennedy” diesel fabbricate in America, le elettriche 441. Le sue pensiline furono silenziose testimoni del rientro della salma di re Alessandro I, ucciso a Marsiglia nel 1934, primo omicidio politico ripreso da una telecamera. E videro cadere le bombe tedesche e quelle degli Alleati nella Seconda guerra, e anche l’arrivo del corpo di Josip Broz Tito, da Lubiana sul Treno blu nel 1980, accolto da centinaia di migliaia di persone in lutto.

Ma oggi il funerale che si prepara è quello al luogo che fu teatro di tutti questi accadimenti. Si tratta della “Glavna zeleznicka stanica”, la stazione centrale di Belgrado, già oggi desolata e in via di smobilitazione e destinata a divenire molto presto solo un ricordo; eppure parte importante della storia della Serbia e della Jugoslavia. E che sta andando in pensione. Sarà in un prossimo futuro completamente sostituita dalla stazione “Prokop”, più periferica e male collegata dal trasporto pubblico, un progetto nato già ai tempi della Jugoslavia e solo oggi in via di completamento.
La stazione scompare - o meglio sarà trasformata in un museo, di che tipo ancora non si sa - anche perché si trova in un’area ambita, al centro del progetto di sviluppo immobiliare a spinta araba denominato “Belgrado sull’acqua”. Che tutto vada in questa direzione è confermato dagli eventi di questi giorni, con la rimozione dei binari nove e dieci, con lo spostamento dal 10 dicembre della maggior parte degli arrivi e delle partenze proprio sulla stazione Prokop, ribattezzata “Beograd centar”, la vera nuova stazione principale della capitale. Mentre la vecchia centrale è ora solo “Beograd”. Beograd cui sono rimasti, con il nuovo orario invernale, solo una decina di treni internazionali, per Bar, Vienna, Schwarzach, Budapest, Salonicco e Lubiana, un paio di locali per Subotica e Novi Sad.
Ma la Glavna custodisce la memoria dei giorni fausti. Sul primo binario, una lapide del “Collettivo della stazione di Belgrado”, collocata sulla facciata quasi cinquant’anni fa, racconta che la monumentale stazione fu inaugurata nel 1884, dove al tempo c’era solo la palude della “Ciganska bara”, quando Belgrado «aveva 35mila abitanti», contro i quasi due milioni di oggi, e che dal 1966 l’edificio è monumento nazionale di «grande importanza». E stazione fondamentale per lo sviluppo jugoslavo. Lo confermano i numeri, con 116 treni e 33mila viaggiatori al giorno nel 1939, 150 convogli e 45mila passeggeri ogni 24 ore trent’anni dopo. «Anche oggi la capacità sarebbe di 100mila viaggiatori, ma ne arrivano ormai solo 5mila», stima sconsolato un ferroviere mostrando orgoglioso, dopo aver licenziato un treno straordinario di Natale per bambini, il suo cappello rosso con il fregio delle Ferrovie serbe. «Grazie a questo cappello ho fatto studiare due figli, mi duole che la stazione venga dismessa, quello che non hanno fatto le bombe dei fascisti lo fanno i governi di oggi», dice.
Non tutti la pensano così. Un suo collega, capotreno del 342 “Ivo Andrić” per Budapest, spiega invece che la “morte” della Glavna stanica «è normale, è il progresso. E poi Prokop è più funzionale, migliore». Cosa sarà della stazione centrale in cui arrivava l’Orient Express? «Solo gli edifici laggiù saranno rimossi - dice Mirko indicando le toilette costruite negli Anni Ottanta e i vecchi magazzini che diedero accoglienza ai profughi a venti sottozero - mentre l’edificio principale e quello delle poste diventeranno un museo entro maggio». Mirko, che lavora con i migranti, fa la “spia” per il Commissariato governativo per i rifugiati, contando quanti prendono il treno verso Zagabria e quanti verso Budapest. «Ormai sono pochi, una cinquantina dormono in stazione, partono in gruppi di tre, quattro, nessuno vuole rimanere qui», racconta. «Mi dicono, se neanche tu riesci a sopravvivere in Serbia, come possiamo fare noi?». Sono loro, i profughi, fra gli (scarsi) ultimi passeggeri della vecchia stazione.
«Pochissimi viaggiatori ormai», dice avvilita l’edicolante sul piazzale esterno. «Mi spiace molto che venga smantellata, è un edificio storico importante», le fa eco Jovana, studentessa di vent’anni, in partenza per Novi Sad. «Colpa di Belgrado sull’acqua», aggiunge indicando le gru e i grattacieli in costruzione a un passo dalla vecchia “Glavna”, progetto «che a noi giovani non piace», ma che si sviluppa rapidamente. Senza guardare in faccia a nessuno, meno che meno a una antica stazione. E alla sua storia.
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