18 settembre 2018: quando una critica "prudente" lascia a piedi una mostra sulle leggi razziali

Tutto sembrava filare liscio. Per l’ottantesimo anniversario della promulgazione delle leggi razziali il Comune di Trieste, assieme alla Comunità ebraica cittadina e all’Unione delle comunità ebraiche italiane, si era preparato a commemorare in due date diverse l'anniversario di quella tragica pagina della storia che fu il 18 settembre 1938, quando Benito Mussolini annunciò le leggi razziali da un palco in piazza Unità.
Eppure è successo che, a pochi giorni dal 18 settembre, la richiesta dell'assessore alla Cultura Giorgio Rossi di "modifica" al manifesto della mostra "Razzismo in cattedra", che voleva ricordare il tragico evento e su cui avevano lavorato per un anno gli studenti del liceo Petrarca, ha fatto saltare in aria quell'armonia che si era creata attorno alle cerimonie previste per questa settimana. Il progetto dell'istituto scolastico doveva essere allestito in quattro giorni e inaugurarsi nella sala Veruda di palazzo Costanzi il 12 settembre. Ma da allora, nonostante un continuo botta e risposta tra Comune e preside dell'istituto e l'alzata di scudi di gran parte della società civile la rassegna non ha ancora aperto i battenti.
Com'è nata l'dea realizzare una rassegna di questo tipo? Il liceo aveva deciso di avviare un programma di alternanza scuola-lavoro, coordinato dall’insegnante Sabrina Benussi, che prevedeva una serie di iniziative per raccontare l’espulsione di alunni e insegnanti ebrei proprio dal liceo di via Rossetti. Per realizzare la mostra il Petrarca aveva inviato al Comune una richiesta di poter disporre della Sala Veruda e la corganizzazione dell’iniziativa, con oneri di stampa e materiale di promozione dell’inizitiva a carico dell’amministrazione.
La sala è stata inizialmente assegnata. Alla giunta venne poi inviato il materiale preparato per promuovere la mostra. Se non che «Il 31 agosto, la referente del progetto viene convocata dall'assessore alla Cultura Rossi, e nel corso dell'incontro, le viene chiesto di modificare il manifesto dell'iniziativa- racconta la dirigente del liceo, Cesira Militello.- A quel punto ho scritto chiedendo dettagli sulle modifiche richieste. Ma non ho più ricevuto risposta, come non ho ricevuto conferma della disponibilità alla coorganizzazione e per questo, a ridosso dell'inaugurazione, abbiamo inviato comunicazione di rinuncia alla sala».
L’assessore Rossi ammette di aver stoppato il manifesto, anche per paura di innescare un "caso Abramovich 2". «Chi conosce il mio vissuto sa che sono una persona liberale - replica l'assessore della giunta Dipiazza -. Di fronte alla locandina della mostra però, io, in accordo con il sindaco, ho scelto di muovermi con prudenza e memore di tutta una serie di precedenti - da una contestata mostra dedicata alla Palestina al recente manifesto della Barcolana -, ho chiamato una referente del liceo chiedendo una proposta alternativa al volantino in questione, che però non è stata fornita. Ma ricordo che coorganizzare significa condividere le cose e non imporle».
Quel manifesto - che riporta l'immagine di tre ragazze ebree in grembiule e una pagina del Piccolo dell'epoca dal titolo “Completa eliminazione dalla scuola fascista degli insegnanti e degli alunni ebrei” - è stato definito dal sindaco Dipiazza "esagerato" e "duro". Ma a 80 anni di distanza da quel triste avvenimento, cosa disturbava il primo cittadino? «Quando ho visto quel titolo del Piccolo dell’epoca, così estremamente pesante, e con quella scritta lì sotto sul razzismo mi è sembrato esagerato. Dico io, dobbiamo ancora sollevare quelle cose?"
Tutti questi messaggi vengono esternati nonostante lo stesso primo cittadino si sia posto quale mediatore nelle settimane precedenti per quanto riguardava la giornata del 18 settembre. Voleva riprendere in mano la figura cui più tiene: quella di sindaco nel momento in cui si tenne proprio in piazza Unità il concerto dei tre Presidenti.
Tanto che affermava: «Sia personalmente che come amministrazione abbiamo un ottimo rapporto di confronto e collaborazione. La comunità ebraica è stata ed è fondamentale per la crescita sociale, culturale ed economica di Trieste».
Ma la situazione evidentemente gli deve essere sfuggita di mano. Poteva continuare sulla retta via, portando il vessillo di equilibrista fra sinistra e le due destre, nella ferma volontà di evitare ogni polemica. E invece le polemiche le ha scatenato tutte lui con le sue stesse mani e attraverso il braccio destro Giorgio Rossi.
Sta di fatto che ora resta in sospeso la mostra organizzata dal Petrarca insieme al Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università di Trieste, al Museo della Comunità ebraica e all'Archivio di Stato. Sono passati dei giorni interni ma nulla si è mosso. Il liceo Petrarca non ha ancora ricevuto alcuna indicazione concreta. «Siamo in attesa di comunicazioni ufficiali e, finchè non arrivano, non possiamo prendere decisioni, - affermava Cesira Militello, dirigente del liceo triestino -. Tra istituzioni i contatti avvengono per le vie previste". Anche se la polemica non si arresta poiché è lo stesso Rossi a intervenire e questa volta in maniera ancora più critica.
In coda alla pesante querelle liceo-Comune sono state diverse le associazioni e le persone che si sono messe in moto per contestare la scelta del Municipio. Pubblicamente si sono riuniti il coro sociale di Trieste, il coro partigiano di Trieste, Comitato Danilo Dolci, associazione culturale Tina Modotti e altre realtà, per un evento alla Risiera di San Sabba cui sono accorsi coristi anche da Londra, da varie città della Francia e altri Paesi, invitando i presenti a portare un fiore il 18 settembre in piazza Unità d'Italia dove si trova una targa commemorativa che ricorda l'annuncio delle leggi razziali fatto da Benito Mussolini in piazza Unità.
Nel corso della manifestazione sono stati eseguiti brani musicali in italiano, francese, yiddish e altre lingue europee. I coristi erano vestiti in due colori, o rosso o nero: gli stessi abiti che indossavano ieri quando hanno sfilato cantando nel centro di Trieste. E ancor prima, un exploit era stato annunciato dai medesimi partecipanti per le vie della città. Con la voce hanno divulgato un messaggio preciso decisamente contro l'amministrazione della giunta Dipiazza.
Ma sono stati fin dall'inizio molti altri, eminenti esponenti del mondo della cultura, a esprimersi in direzione opposta al pensiero Dipiazza-Rossi. Tra questi lo storico veneziano Riccardo Calimani. In un'intervista ha spiegato in modo semplice come quella "prudenza" di Rossi non sia virtuosa. "Bisogna sì essere prudenti, ma non timidi - aveva affermato -. La prudenza qualche volta non è una virtù".
Subito in fila lo scrittore e giornalista triestino Paolo Rumiz. In un lungo editoriale sul Piccolo ha voluto approfondire questo scontro contestualizzando ancora una volta il periodo storico che stiamo vivendo, tra ronde e sbarchi rifiutati in questa Penisola che chiede ogni giorno che i porti vengano chiusi agli immigrati. Concetto pregnante: qualcuno può azzardare un nesso tra ronde di oggi e squadracce di ieri. E questo fa paura a chi preferisce la melassa del “vogliamoci bene”.
C'è chi invece ha comunicato via social. Prima su Instagram con la foto del manifesto contestato. Poi con una riflessione su Facebook. Parliamo del direttore del Tg de La7 Enrico Mentana, tornato a commentare il caso della mostra triestina bloccata dopo le critiche alla locandina. Lo ha fatto per rispondere indirettamente alle affermazioni rilasciate da Roberto Dipiazza. «Dico io, dobbiamo ancora sollevare quelle cose?», si era chiesto il sindaco spiegando il diniego a quella locandina. «Sì, sindaco, - scrive Mentana - oggi più che mai, e quelle sue parole feriscono. Non solo, ma non smetto di guardare quel manifesto, e non capisco con che cuore, con che animo e con che raziocinio lei lo abbia potuto definire “esagerato”. È storia, purtroppo. La nostra». Il post, condiviso da oltre 8 mila persone, ha raccolto oltre 23 mila like.
Sul caso è intervenuto anche il giudice Giorgio Nicoli. «No!! Con tutto il dovuto rispetto per il sindaco di Trieste, il manifesto del Liceo Petrarca sulle leggi razziali, non è nè “esagerato” nè “duro” - scrive Nicoli su Facebook -. Non ho dubbi che se il sindaco fosse stato con me a visitare Auschwitz e Birkenau, il mese scorso, non gli sarebbe venuto in mente di dire... quello che ha detto!». In un post pubblicato poche ore dopo, inoltre, il giudice inserisce il testo del Regio decreto del 5 settembre 1938 con i “Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista». «È su questo che andrebbero .. “abbassati i toni”?? O invece - conclude -, non è che forse le notizie di oggi dovrebbero ricordare a tutti il dovere di documentarsi su cosa si parla, prima di aprire bocca, specie se si ha un ruolo che rappresenta le istituzioni e, quindi, tutti noi?».
Torniamo indietro di 80 anni. Terribile anno. E' il 18 settembre. Terribile giorno. Noi abbiamo deciso di dare un segnale significativo. Innanzitutto con una sovracopertina che avvolge le due edizioni del giornale di Trieste e Gorizia-Monfalcone. E poi, a partire da questo tristissimo anniversario, abbiamo prodotto l'approfondimento che state leggendo, dedicato in particolare a quest'altra nefasta polemica sviluppatasi dalla richiesta di modifica da parte del Comune del manifesto per la mostra "Razzismo in cattedra". Ma soprattutto con un intervento puntuale e sentito il nostro direttore Enzo D'antona ha aperto il quotidiano di oggi.
"Una piccola pianta di ciclamino spuntata chissà come ieri mattina in piazza Unità accanto alla targa commemorativa è stata forse il segno migliore - più autentico e meno retorico - per annunciare l’anniversario del momento più tragico della travagliata storia triestina del Novecento - scrive D'Antona -. Il 18 settembre del 1938 Mussolini annunciò le leggi razziali davanti a una folla esultante di 100 mila persone, e da quel momento Trieste, la civile operosa e dinamica Trieste, non fu più la stessa. Ma non furono più uguali a prima nemmeno l’Italia e l’Europa. Cominciò la marcia verso la barbarie dell’olocausto, gli anni del disumanesimo trovarono compimento in quella ferocissima mattina che oggi, a 80 anni di distanza, tutti siamo costretti a ricordare.

E per tutti intendiamo l’intero consesso del cosiddetto mondo civile, che ogni anno ha il dovere di interrogarsi su come tutto ciò - dalle prime discriminazioni allo sterminio degli ebrei - sia potuto accadere sotto gli occhi di quella Italia inebetita dal regime che non volle o non seppe cogliere la portata di quello che stava accadendo. Ricordare oggi è quanto mai necessario, addirittura urgente. Le esclusioni, le discriminazioni su base etnica e religiosa e, aggiungiamo noi, basate su ricchezza e povertà crescono in Europa e in Italia in una maniera talmente evidente che non è possibile non evocare gli spettri del passato. Va ribadita dunque con fermezza l’appartenenza a una società fatta di regole e di principi irrinunciabili. Fra questi ultimi c’è al primo posto la condanna di ogni forma di razzismo.
Questo è il senso della mostra messa in piedi in un anno di lavoro dai ragazzi del liceo Petrarca di Trieste, che per motivi davvero incomprensibili non è stata ancora allestita. Il Comune ne ha forse un po’ sottovalutato il messaggio. Sulla locandina ha fatto appello alla “prudenza”. Ma - come si chiedono tutti i lettori che ci hanno scritto - che motivo c’è di essere prudenti su un tema come questo? La polemica sulla mostra nasconde forse qualcosa di più profondo, che attiene al sentimento triestino sul triste momento delle leggi razziali e su quello che sarebbe venuto subito dopo. Un po’ di vergogna (quella folla esultante), un po’ di senso di colpa che deve investire tutti gli italiani, un po’ di voglia di rimozione nella città in cui fu attivo l’unico campo di sterminio italiano, la Risiera di San Sabba.
E naturalmente il rancore di chi pagò per quella follia omicida un prezzo durissimo. Ma qui non si tratta di rivangare, non si tratta di percorrere la storia a ritroso, di individuare oggi i singoli colpevoli di ottant’anni fa o di rinnovare una ferita incancellabile. Storici e scrittori locali lo hanno fatto e lo fanno e lo faranno, a prescindere da un anniversario. Qui si tratta di dare corpo alla memoria e di codificare ancora una volta gli insegnamenti impliciti di quella mattinata che cambiò il corso della nostra storia e della nostra vita. È un anniversario che non riguarda solo la comunità ebraica. Ci riguarda tutti. Si tratta di non dimenticare. Per evitare il rischio che la storia, con altri nomi e con altri protagonisti, si ripeta". —
La community di "Noi Il Piccolo" dedica questo approfondimento a chi NON VUOLE DIMENTICARE.
Il Comune alla fine ha fatto un passo indietro. La mostra "Razzismo in cattedra" infatti è stata inaugurata il 4 ottobre al Museo Sartorio. Durante la cerimonia l'assessore alla Cultura Giorgio Rossi ha espresso le proprio scuse: «Non farò più questo errore: in questa vicenda ci sono state delle forti incomprensioni, mi assumo la totale responsabilità. Sono qua, anche perché sono stato accolto con gentilezza e comprensione da un gruppo di studentesse del liceo. A queste ragazze chiedo scusa pubblicamente».
La scelta del Sartorio è maturata nei giorni scorsi dopo un confronto tra i referenti del Petrarca, che avevano scartato l’opzione Risiera avanzata dal Municipio, e i dirigenti del Comune. Sono state messe sul tavolo le sale comunali a disposizione, le date possibili, la mole di documenti da esporre, la concomitanza con altre esposizioni. Il liceo, nella scelta degli spazi dove portare la mostra, ha coinvolto in prima persona gli stessi studenti della sezione V I ad indirizzo linguistico del Petrarca. Quei ragazzi, - che coinvolti nel progetto di alternanza scuola-lavoro hanno raccolto i documenti, fatto ricerche, registrato testimonianze per dare vita alla mostra e al documentario realizzato in parallelo “1938 - Vita Amara”, - nei giorni scorsi hanno accompagnato l'insegnante che ha coordinato il progetto, Sabrina Benussi, nel sopralluogo in Largo Papa Giovanni e dato il loro via libera definitivo.
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