Washington contro Belgrado: in arrivo le sanzioni alla Nis

Nel mirino la compagnia serba degli idrocarburi, controllata dalla russa Gazprom. Le misure rischiano di mettere in ginocchio il sistema energetico nazionale

Stefano Giantin
Biden e Vučić, i presidenti degli Stati Uniti e della Repubblica di Serbia
Biden e Vučić, i presidenti degli Stati Uniti e della Repubblica di Serbia

Pugno di ferro, che rischia di creare grandi difficoltà alle autorità al potere. E soprattutto di mettere in ginocchio il sistema energetico di un Paese-chiave nei Balcani, la Serbia.

È quello che avrebbe deciso di usare Washington nei confronti di Belgrado, o meglio, contro il colosso nazionale serbo degli idrocarburi, il gigante “Naftna Industrija Srbije” (Nis), da più di un decennio controllato dalla russa Gazprom.

Le sanzioni

Dopo le voci sempre più ricorrenti circolate nelle scorse settimane, sabato il presidente serbo Aleksandar Vučić ha confermato l’imminente adozione di pesanti «sanzioni dirette» da parte degli Usa a danno di Nis.

«Ho parlato con Jose Fernandez», l’attuale sottosegretario di Stato americano all’Energia, crescita economica e ambiente, il cui mandato «scade il 20 gennaio», ha esordito Vučić dopo una riunione del gabinetto di governo. E proprio «prima di quella data», forse già il 15 gennaio, «gli Stati Uniti imporranno sanzioni, non solo finanziarie, ma misure complessive a carico della nostra compagnia Nis», ha annunciato il leader serbo.

Possibili motivi

Perché? Potrebbe spiegarsi col fatto che Nis è controllata dal 2008 da Gazprom, che detiene oltre il 50% del pacchetto azionario e dunque, nel contesto dell’aggressione all’Ucraina, si tratta di una “punizione” attesa.

Ma Vučić non è di quest’avviso. Gli americani «diranno» che le sanzioni «sono contro la Russia e il finanziamento del loro sforzo bellico, ma non è così», perché Nis non c’entrerebbe affatto con la guerra, ha sostenuto il leader serbo. Che ha aggiunto, tra il detto e il non detto, che forse è più probabile si tratti di un tentativo di «destabilizzare il nostro Paese, ma non voglio incolpare nessuno».

Gli effetti 

Di certo, le sanzioni – qualunque forma assumeranno – «ci metteranno in una posizione difficile», ha ammesso. «Abbiamo 30 giorni per analizzare la situazione e prendere contromisure e 60 giorni per finalizzare» un piano di risposta, «entro il 15 marzo» bisogna trovare una soluzione, ha chiarito, spiegando che saranno costituiti team di lavoro per affrontare il problema. E che lui stesso parlerà con Putin, ma anche con l’ambasciatore americano a Belgrado, l’influente Christopher Hill.

Questione che è in effetti spinosa, anche perché Ue e Regno Unito potrebbero seguire a ruota l’esempio degli Usa. Con la consapevolezza che lo spettro delle sanzioni rappresenta un rischio enorme per il Paese balcanico. Secondo scenari evocati già a dicembre la loro introduzione comporterebbe il blocco delle importazioni di nafta via Croazia, mettendo a rischio la raffinazione a Pancevo – che basa la produzione su un 75% di petrolio d’importazione – e dunque le forniture al mercato nazionale e ai distributori di benzina e diesel, mentre non mancano potenziali impatti negativi anche sull’approvvigionamento di gas.

Cosa fare

Cosa potrebbe accadere? Da tempo si mormora che, in caso di provvedimenti restrittivi, a Belgrado non resterà che “ri-scalare” Nis per prenderne il controllo, con il governo serbo che, in qualche modo, dovrà risalire dal 30% del pacchetto azionario a oltre il 50%. Ma «si dovrà parlare con i partner russi» di questo passo, aveva anticipato Vučić a metà dicembre, di fatto negando ogni possibilità di una scalata “aggressiva” a Nis, compromettendo i delicati rapporti con Mosca. Ma anche se «Nis rappresenta un impegno minimo per Gazprom, ha forte peso politico nella regione, difficile immaginare un suo ritiro prima della fine della guerra», ha spiegato l’analista Nenad Gujanicic. —

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