«Qui tracciamo la Serbia del futuro»: studenti e cittadini, così gli indignados tornano a migliaia in piazza
Niš: a quattro mesi dalla tragedia della stazione di Novi Sad nuova manifestazione contro Vučić e i potenti del Paese

Quattro mesi di dolore, proteste e scioperi, marce e manifestazioni. Quattro mesi di muro contro muro con le autorità al potere, messe all’angolo e indebolite, ma anche le opposizioni sono inerti e silenti. Quattro mesi. E non sentirli. Non accenna affatto a placarsi, in Serbia, l’ondata di pacifica rabbia popolare, canalizzata soprattutto dagli studenti di università e scuole superiori – ma sostenuta da ampie fasce della popolazione – rabbia causata dalla tragedia alla stazione di Novi Sad, dove il primo novembre dell’anno scorso il crollo improvviso di una tettoia in cemento provocò la morte di 15 persone.
Esattamente quattro mesi dopo, un’altra massiccia manifestazione di studenti e cittadini è andata in scena ieri, questa volta a Niš, la terza città della Serbia, dove a decine di migliaia sono arrivati da tutto il Paese – molti dopo giorni di marcia – per chiedere giustizia per Novi Sad, stop alla corruzione e un cambio radicale del modo di gestire la cosa pubblica nel Paese balcanico. Niš dove si è vista una replica di altre grandiose manifestazioni registrate in Serbia negli ultimi mesi, la penultima in ordine di tempo a Kragujevac – a cui ha fatto da contraltare una contemporanea “contro-manifestazione” organizzata dal presidente Aleksandar Vučić a Sremska Mitrovica – senza dimenticare le folte partecipazioni a raduni a Belgrado e Novi Sad. Raduni dove si chiede sempre che le autorità al potere soddisfino svariate richieste su trasparenza sul caso Novi Sad, lotta alla corruzione e pugno duro contro chi ha usato violenza contro i manifestanti, oltre ad aumenti di finanziamenti al settore dell’istruzione.
Tutte petizioni che governo e Vučić sostengono di aver soddisfatto, senza dimenticare un’altra «mano tesa», le dimissioni ancora “in fieri” del premier serbo Vučevic. Ma i locali indignados rigettano ogni presunta apertura, continuano a protestare, organizzandosi sempre via democrazia diretta, senza leader. Con loro, rimangono in trincea anche altre parti importanti della società, in testa professori e soprattutto maestri elementari, con centinaia e centinaia di scuole, in particolare a Belgrado, dove le lezioni sono sospese da settimane o “ridotte” in segno di protesta e per chiedere maggiori diritti per insegnanti e una scuola migliore.
Intanto le università sono occupate e nei licei ormai da dicembre le classi rimangono vuote. Secondo dati ufficiosi, sarebbero circa 15.000 le maestre e maestri in sciopero, con 9-10 mila che si limitano a fare lezione per 30 minuti invece che un’ora, mentre un numero significativo è in blocco totale – con timori crescenti fra i genitori che l’anno scolastico possa essere perso.
Muro contro muro che non accenna a incrinarsi, al contrario. Ieri, Vučić ha sostenuto che a Niš ci sarebbe stata «la metà» dei manifestanti osservati a Kragujevac, suggerendo poi che l’opposizione vorrebbe radicalizzare gli studenti. Parole che appaiono in contrasto con le rassicurazioni e gli appelli al dialogo lanciati nelle scorse settimane.
Gli studenti hanno da parte loro confermato di avere ancora molta energia. E di non aver alcuna intenzione di mollare la presa, nella loro ennesima manifestazione. Quella di Niš è stata così battezzata «l’Editto degli studenti», dichiarazione letta in piazza per segnalare che i più giovani in Serbia vogliono «libertà, servizio allo stato e non privilegi, giustizia, dignità, conoscenza, solidarietà e l’editto è il nostro futuro». Le prossime due settimane potrebbero essere così fondamentali, per capire come evolveranno le proteste – dalle piazze alla politica – e dove andrà la Serbia. Di certo, gli “indignados” non molleranno. E hanno già annunciato un secondo «sciopero generale», previsto per il prossimo 7 marzo, tre giorni dopo un giorno-chiave, la seduta del Parlamento (4 marzo) che dovrebbe confermare le dimissioni del premier uscente Vučević, mentre le opposizioni appaiono sempre confuse e immobili. Non è finita. Il 15 marzo, si è saputo ieri, un nuovo grande raduno di protesta dovrebbe tenersi nella capitale, Belgrado.
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