Mosca pronta a cedere quote di Nis: l’aiuto al gigante serbo dell’energia

Le sanzioni decise dagli Usa di Biden: finora inascoltata la richiesta di posticipo, l’entrata in vigore fissata al 25 febbraio

Stefano Giantin

Grande confusione sotto il cielo, mentre il conto alla rovescia scorre veloce e l’ora X si avvicina. Il cielo è quello della Serbia, e il nodo è quello del destino della Naftna Industrija Srbije (Nis), colosso serbo degli idrocarburi la cui maggioranza è però controllata da Mosca, gigante sul cui capo da gennaio pende per volontà di Washington la spada di Damocle di durissime sanzioni.

Sanzioni, va sottolineato, che sono state decise dagli Stati Uniti al tramonto dell’amministrazione Biden, per colpire i proventi del settore dell’energia che la Russia usa per alimentare lo sforzo bellico. E Nis, finora risparmiata, è stata inserita sulla “black list” americana, dato che Gazprom Neft controlla il 50% di Nis, il 6,15% è in mano a Gazprom.

I russi devono uscire completamente da Nis, è il diktat dato a Belgrado dagli Usa che, secondo il presidente serbo Aleksandar Vučić, hanno dato tempo alla Serbia solo fino al 25 febbraio per risolvere l’enorme problema e scongiurare uno stop alle operazioni di Nis con conseguenti gigantesche difficoltà nelle forniture di carburante al Paese.

Il D-day per Belgrado è ormai dietro l’angolo: e tra l’altro le richieste di posticipo delle sanzioni avanzate da Nis ma anche da Janaf, il gestore croato dell’oleodotto che rifornisce anche la Serbia, sono rimaste almeno finora inascoltate. «Ottimista» in questo senso si è però detto il potente direttore di Srbijagas, Dusan Bajatović.

Ma allora a che punto è la notte per Nis, per la Serbia, per gli oltre 12mila dipendenti dell’azienda che controlla raffinerie, strutture energetiche e centinaia di distributori, produce l’80% dei derivati del petrolio in Serbia ed è una delle locomotive del Pil nazionale? Qualcosa sembra muoversi dietro le quinte per evitare il peggio.

Lo ha svelato il bene informato portale specializzato Kompas, sostenendo che Mosca sarebbe pronta a cedere il 6% delle quote di Nis in suo possesso, così da scendere al 49% del pacchetto azionario. Questa tuttavia sarebbe «l’unica concessione» che la Russia sarebbe pronta a fare per aiutare gli amici e alleati serbi, con Mosca non interessata a cedere tutte le sue quote nel gigante balcanico degli idrocarburi, acquisite nel 2008. Se così fosse, Belgrado ha denari a sufficienza in cassa per un’eventuale operazione del genere, ha confermato la Banca nazionale serba.

Potrà bastare questa mossa a evitare le sanzioni? Lo si vedrà a breve, ma in attesa dell’eventuale ufficialità il ministro russo degli Esteri, Sergey Lavrov, ha confermato che Mosca e Belgrado «hanno concordato di continuare a lavorare insieme per evitare ogni danno ai nostri mutui interessi». Sul tavolo, tuttavia, potrebbero essere contemplate altre opzioni per permettere a Nis di continuare a operare normalmente. Tra queste, la creazione di un’Agenzia nazionale per gli idrocarburi o di un’azienda privata ad hoc, che acquisterebbe direttamente greggio da trasferire poi a Nis per la raffinazione.

In alternativa, in caso di emergenza, a dare una mano a Belgrado potrebbe intervenire l’Ungheria di Orban, leader populista vicinissimo a Vučić. La Serbia «può contare sul gruppo Mol», l’equivalente magiaro di Nis, che è «pronto ad aumentare le forniture» di carburante per il Paese balcanico, ha confermato l’alto funzionario di Mol Csaba Zsoter. «Mol è pronta» a fare la sua parte, aveva anticipato il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjarto, mentre la ministra serba dell’Energia, Dubravka Djedovic Handanović, ha evocato addirittura il raddoppio delle forniture di benzina e diesel dall’Ungheria. —

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