La Consulta in Bosnia: libri incostituzionali a scuola nella Republika Srpska
Il verdetto della Corte sul ricorso di una dozzina di politici contro i testi inneggianti a Mladić e Karadži
Una decisione importante, destinata allo stesso tempo a sollevare un’onda lunga di polemiche e tensioni. È quella presa dalla Corte costituzionale della Bosnia-Erzegovina, chiamata a esprimersi su un ricorso presentato da una dozzina di esponenti politici bosniaci, che avevano chiesto alla Consulta di analizzare una parte del curriculum d’insegnamento della storia nelle scuole medie della Republika Srpska (Rs), l’entità politica serbo-bosniaca che, con la Federazione bosgnacco-croata, forma il Paese balcanico.
L’accusa degli appellanti: che il curriculum glorificasse criminali di guerra condannati in via definitiva, personaggi del calibro di Ratko Mladić e Radovan Karadžić. Curriculum dunque con profili di incostituzionalità. La risposta dei giudici? Esplosiva. Lo si comprende leggendo la «decisione» presa dai togati, una Corte composta sia da giudici locali sia da giuristi stranieri, tribunale che ha il compito di interpretare e vigilare sulla difesa della Costituzione nata da Dayton. Ma alla Consulta mancano togati serbo-bosniaci, con Banja Luka che è in guerra con l’istituzione proprio per la presenza di giuristi stranieri. Giudici che hanno stabilito che parte dei libri di storia su cui studiano i ragazzi serbo-bosniaci «non sono compatibili» con la Costituzione e pure «contrari» alle regole guida sull’educazione. Nel mirino della Corte, una decina di pagine del manuale di “Storia per il nono livello della scuola primaria”, il cui uso dovrebbe essere «vietato», il durissimo diktat.
Perché? Lo si legge sempre nella decisione della Consulta, che ha messo nel mirino i temi studiati sui banchi a Banja Luka su argomenti complessi, quali la fondazione della Rs e la sanguinosa guerra degli Anni Novanta. Il libro incriminato, in particolare, spiega che gli studenti devono essere ferrati su questioni come «la nascita della Republika Srpska», il suo «esercito» durante il conflitto del 1992-95, ma anche le «sofferenze e i crimini compiuti contro i serbi e la Republika Srpska dopo gli accordi di Dayton», oltre alla «cultura del ricordo». Gli studenti devono anche dimostrare di poter «citare le più importanti operazioni dell’esercito serbo-bosniaco, i teatri» di guerra e «le sofferenze dei serbi» durante il conflitto in Bosnia, oltre che «i peggiori massacri» contro serbi «nel 20/mo secolo». Fra i punti contestati, anche la Giornata nazionale del 9 gennaio, dichiarata incostituzionale perché discriminatoria verso i “non-serbi”, ma anche frasi contro l’Ufficio dell’Alto rappresentante e la stessa Consulta.
Da qui il verdetto, con i giudici che hanno parlato di curriculum di storia che «mina direttamente la fiducia nell’ordine legale dello Stato» e suggerito che il manuale ha tutt’altri effetti che «prevenire la discriminazione, il revisionismo, la manipolazione ideologica e l’indottrinamento dei minori». Ma ben più grave è l’assenza «di un richiamo alle sentenze sul genocidio» di Srebrenica «e sui crimini di guerra», scelta che «sminuisce» gli orrori e «impatta negativamente sul processo di riconciliazione». Ma le parole dei giudici rischiano di provocare un nuovo, durissimo scontro politico e istituzionale. I manuali di storia sono «scritti e continueranno a essere scritti da esperti competenti», lo scarno commento della ministra serbo-bosniaca dell’Educazione, Zeljka Stojicic. La decisione della Consulta «dimostra una totale misinterpretazione del curriculum e dei libri di testo», ha fatto eco la direttrice dell’Istituto pedagogico della Rs, Sladjana Tanasic, che alla Tv di Banja Luka ha parlato di sentenza «contro la legge». «I nostri studenti apprendono da libri scritti da nostri ricercatori e nessuno può cambiarli», l’assicurazione del leader serbo-bosniaco Milorad Dodik. Che sa di ennesima sfida. —
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