Per Dodik il giorno della verità: timori per l’ordine pubblico

Attesa la sentenza che può costargli il carcere e l’interdizione dall’attività politica per dieci anni

Stefano Giantin
Il leader nazionalista serbo-bosniaco Milorad Dodik, attuale presidente della Republika Srpska,
Il leader nazionalista serbo-bosniaco Milorad Dodik, attuale presidente della Republika Srpska,

Un conto alla rovescia che conduce a passo spedito verso scenari di destabilizzazione o quantomeno verso un pericolosissimo aumento della tensione politica. E nelle piazze. Scenario che riguarda la Bosnia-Erzegovina, entrata in una settimana che si prospetta cruciale per il futuro di un Paese balcanico dagli equilibri interni complicati e fragili.  Settimana che vedrà con altissima probabilità mercoledì, a meno di sorprese, il pronunciamento a suo modo storico di una sentenza nel processo contro il leader nazionalista serbo-bosniaco Milorad Dodik, attuale presidente della Republika Srpska, entità dei serbi di Bosnia che, con la Federazione bosgnacco-croata, forma la Bosnia-Erzegovina. Con Dodik, politico apertamente filorusso e dalle mai sopite velleità secessionistiche, alla sbarra c’è anche Milos Lukic, direttore della Gazzetta Ufficiale della Rs. Entrambi, ricordiamo, sono accusati di “disobbedienza” nei confronti di ruolo e decisioni dell’Alto rappresentante della comunità internazionale, arbitro e garante del rispetto degli accordi di pace di Dayton, poltrona occupata dal tedesco Christian Schmidt.

Rischia 5 anni di galera

E Dodik, se le richieste dell’accusa saranno accolte dai giudici, rischia grossissimo: cinque anni di galera e soprattutto l’interdizione dalla vita pubblica e dall’attività politica per ben dieci anni. Processo, da sempre definito «politico» dall’imputato più in vista, Dodik appunto, che con tutta probabilità diventerà miccia di una crisi gravissima, in caso di sentenza di condanna.

Lo hanno confermato le nuove promesse-minacce di Dodik, che ha anticipato che non sarà a Sarajevo mercoledì per conoscer il suo destino, «perché nessuno mi costringe a farlo». Al contrario, riunirà già da oggi in piazza a Banja Luka davanti al parlamentino serbo-bosniaco migliaia di persone «che mi sostengono». Sarà quella la prima risposta di Dodik ai giudici del Tribunale, ma non l’unica. In caso di condanna, ha infatti preannunciato il leader serbo-bosniaco, prima si cercherà il compromesso, dato che «il nostro obiettivo primario è quello di difendere la Costituzione» nata dagli accordi di pace di Dayton. Ma se Sarajevo «rifiuterà» questi nebulosi negoziati offerti da Dodik, allora «dovremo prendere delle decisioni».

Il misterioso piano B

Quali? Dodik non si è esposto, evocando un misterioso «piano B», basato sull’assunto che «la Costituzione è stata distrutta» e allora tutto «può crollare». «Questo è il piano B: negoziare fino alla fine, spiegando che la Bosnia deve includerci» altrimenti «faremo le nostre scelte», ha spiegato Dodik, parole che i media bosniaci hanno letto come un implicito richiamo alla secessione. Di certo, ha assicurato, il processo a Sarajevo sarebbe stato pensato solo per «distruggere la più forte autorità politica» tra i serbi di Bosnia, un piano ordito dall’ex ambasciatore Usa Murphy, almeno secondo Dodik. Parole che suggeriscono che la situazione è esplosiva. Lo confermano anche le chiamate a raccolta dei sostenitori di Dodik via social media, il tutto senza dimenticare le evocazioni a non meglio precisate «azioni radicali».

Visto il quadro, non sorprendono gli appelli alla calma delle opposizioni a Banja Luka. Come pure le rassicurazioni, allo stesso tempo preoccupanti, lanciate da Ue e Nato, che hanno affermato che le forze militari di peacekeeping ancora operanti in Bosnia sono pronte a contrastare ogni minaccia alla stabilità nazionale. E mezzi Eufor sono stati avvistati già ieri nell’area di Srebrenica.

 

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